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Tra le righe

Luoghi forse non comuni

La rubrica di Enrico Neiretti

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Il prossimo fine settimana, sabato 23 e domenica 24 marzo, avranno luogo le “Giornate FAI di Primavera”, iniziativa organizzata -appunto- dal “Fondo per l’Ambiente Italiano” che prevede l’apertura al pubblico di tanti siti di interesse storico e culturale.

Nel biellese sono previsti consistenti ed interessanti itinerari che permetteranno ai visitatori, attraverso un programma di visite guidate, di conoscere alcuni tra i luoghi più interessanti ed affascinanti della provincia.

Il programma completo è disponibile nel sito dell’associazione, ma già soltanto ad un primo sguardo si rimane colpiti dalla quantità di luoghi legati in vario modo alla storia della produzione industriale.

Da Cittadellarte Fondazione Pistoletto -ex lanificio Trombetta- all’ex lanificio Maurizio Sella, oggi sede di varie società del Gruppo Sella, dal lanificio Fratelli Cerruti al lanificio Ermegildo Zegna, nomi questi fortemente rappresentativi dell’attuale produzione di altissima qualità del biellese, passando per l’ex lanificio Picco di Veglio e persino per il territorio a ridosso del corso del Cervo in città, area denominata “Est Urbano”, è tutto un viaggio di scoperta della storia industriale del biellese, un cammino tra passato e presente, tra testimonianza e realtà, che mostra tutta la forza di una dimensione -l’industria tessile- che ha connotato nel bene e nel male territorio, visione, mentalità della nostra provincia.

Gli edifici industriali sono un costante del paesaggio biellese; antichi ed imponenti bastioni di una vocazione produttiva, in tanti casi ormai svuotati e dimessi, ma in altri casi capaci di diventare involucro per nuove idee, di ispirare nuovi progetti, di ospitare linguaggi differenti, innovativi, persino internazionali. E naturalmente, accanto a questi luoghi della nuova creatività come Cittadellarte, operano i grandi e storici stabilimenti che sono noti in tutto il mondo per i loro prodotti.

Ecco, devo confessare di essere sempre un po’ in imbarazzo quando parlo di industria. Sono piuttosto allergico ad una certa retorica “produttivistica” che pone nelle imprese una sorta di valore morale fondante della società intera.

So, per esperienza diretta e per testimonianza culturale, quanto il lavoro nelle fabbriche sia stato e sia tuttora spesso amaro, faticoso, in molti casi frustrante.

So bene quanto il lustro e la prosperità (soprattutto passata) del comparto industriale poggi sulla fatica e sulla rinuncia di molti.

Potremmo certo sprecare un gran numero di parole a dibattere di questo, di quella dimensione a cavallo tra il sacrificio personale e la creazione di prospettive per un territorio, che è discussione sempre viva e mai risolta.

Ma non è possibile qui cercare di dare una lettura sociale alla storia dell’industrializzazione.

Ciò che è innegabile, ciò che balza allo sguardo come un dato di fatto macroscopico, è che il luogo che abitiamo è connotato in profondità da questa storia, e che noi con questa storia dobbiamo necessariamente farci i conti. Sia per leggere il passato, sia per tentare di progettare il futuro.

In un’interessante, corposa e appassionata riflessione sui luoghi e sulla sensazione di appartenenza ad essi, pubblicata qualche giorno fa sulla rubrica “Ok boomer” del giornale online “Il Post”, il giornalista e scrittore Michele Serra conclude il suo ragionamento, sospeso tra desiderio di uno sradicamento cosmopolita e un richiamo atavico alle “radici”, con queste parole: “Dunque quello che volevo raccontarvi è questo mio oscillare un poco schizofrenico tra uno sradicamento “di nascita”, che ho sempre vissuto come un privilegio, un antidoto perenne al provincialismo, una spinta alla libertà di pensiero e di azione. E però una profonda attrazione per il concetto stesso di “radici”, per quel posto specifico e speciale nel quale ti senti te stesso con una nettezza, una precisione che altrove non avverti mai: l’altrove ti attira, ti affascina, ti cambia (spesso in meglio) ma se vuoi ritrovare un baricentro, uno specchio che ti riflette per davvero, il tuo posto è quello e solo quello.”

Ecco, quando percorro le vie del territorio biellese, quando risalgo dal centro cittadino verso la valle Cervo, quando attraverso trasversalmente le diverse vallate, non posso fare a meno di constatare che questo paesaggio un po’ crudo ma anche in un certo modo armonico, mi appartiene. E forse sì, è anche una sorta di specchio, perlomeno parziale, in cui sono riflesse pagine della mia storia e della mia visione delle cose.

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