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Biella

Lasciamoli crescere in pace questi ragazzi

La rubrica di Enrico Neiretti

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Sabato scorso ho seguito uno degli incontri del ciclo “Meet the writer”, una serie di appuntamenti organizzati dal Liceo del Cossatese e Vallestrona (in collaborazione con la Biblioteca Civica di Cossato e con la Fondazione Cassa di Risparmio), in cui i ragazzi dell’istituto hanno la possibilità di incontrare alcuni autori.

Sabato l’ospite era la giovane scrittrice veneziana Anja Boato che ha raccontato il suo libro “Madama Matrioska” (Accento edizioni).

La cosa bella di questi incontri è che sono i ragazzi a relazionarsi direttamente con l’autrice o l’autore. Alcuni ragazzi, che hanno letto il testo e preparato le domande, intervistano l’ospite creando così una bella comunicazione di prima mano, fresca, spontanea, naturalmente giovane.

E la cosa altrettanto bella è stata che questa volta le domande e le risposte di ragazzi e scrittrice, erano intervallate dalla musica. Sul palco, appena alle spalle dell’improvvisato salottino letterario dove si svolgeva l’intervista, c’erano altri ragazzi, musicisti allievi della scuola Sonoria di Cossato, che hanno eseguito alcuni pezzi musicali: la “Fresh Acoustic Band” ha suonato alcune cover, e la giovane solista Distemah ha eseguito alcuni dei suoi brani accompagnata da un bravissimo chitarrista.

Ecco, la sensazione che si provava di fronte a queste esibizioni è che i ragazzi fossero davvero i protagonisti dello spazio, del tempo e della scena. E che il loro ruolo centrale fosse una motivazione straripante, uno stimolo grandioso a dare il meglio di sé stessi.

E si avvertiva, in queste performance differenti, la gioia di stare insieme, di condividere esperienze e linguaggi, di mostrarsi attraverso le proprie competenze e -soprattutto- le proprie passioni.

E ho pensato con rabbia a come questo paese, vecchio e sempre più retrogrado, stia invece trattando i ragazzi, a come l’idealismo giovanile venga letteralmente preso a botte dall’ideologismo senile, a come si stia cercando di ripristinare una scuola nozionistica, classista, insensibile di fronte alle difficoltà del crescere che -in modi diversi- accomunano la stragrande maggioranza dei ragazzi.

Ecco, tutta questa stantia miscela di vecchiume, di arroganza, di violenza, di revanscismo generazionale, qualcuno ha avuto il coraggio di chiamarla “merito”, andando addirittura ad incollare maldestramente questo termine nel nome del “Ministero dell’Istruzione”, facendolo diventare appunto “Ministero dell’Istruzione e del Merito”, una sorta nonsense ideologico.

Ma non basta: oltre alle sbavature di una politica qualunquista e ottusa, l’attacco alla dimensione giovanile è diventato ormai la costante nelle chiacchiere di una schiera di soggetti che in una scuola non entrano da decenni. Saccenti cinquantenni, che hanno appena finito di magnificare le proprie sbandate giovanili – “ah, quanto ci divertivamo noi”-, indossano i panni di accigliati censori delle nuove generazioni “che non sanno più sacrificarsi”, in involontaria conferma di ciò che scriveva Fabrizio de Andrè in Bocca di Rosa: “si sa che la gente dà buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio, si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare cattivo esempio”. E poi commentatori tipo quel “tale che scrive sul (grande) giornale” -per citare un altro cantautore-, galli che zampettando nelle loro logge starnazzano scomuniche nei confronti di queste generazioni -ossignur- cresciute nella mollezza ipertecnologica, senza nerbo, né vera conoscenza, allievi di una scuola che non forma più. Strali acuti che echeggiano nei social, viziati persino da errori sintattici e grammaticali, ma l’affermazione che la scuola di un tempo fosse più formativa è ormai un dogma suffragato da un’insistenza talmente densa che pochi hanno il coraggio di confutarlo.

Ecco, io che giovane ahimè non sono più, ma che non sono nemmeno così vecchio o obnubilato da colesterolo, ostruzioni arteriose e pensieri distorti da dimenticare quel mio tempo là, ricordo bene quanta fatica costi crescere, ma anche quanta bellezza ci possa essere nel cammino giovanile se si ha la possibilità di fare delle proprie passioni momenti di incontro, di studio vero, di socializzazione.

Allora magari smettiamola di invocare i triti “mandiamoli a lavorare”, anche nelle loro traduzioni pompose tipo “alternanza scuola lavoro”. E lasciamoli crescere in pace questi ragazzi, se possibile aiutandoli a trovare spazi e strumenti per diventare bravi in ciò che hanno davvero a cuore.

Che, checché ne dica la vulgata, questa generazione è probabilmente meglio di quelle che l’hanno preceduta. O forse anche quelle generazioni là non erano poi tanto male. Perlomeno fino a che qualche vetusto censore dell’epoca non si è incaricato di spiegare ad esse come si dovesse vivere.

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