Gli Sbiellati
Il rigurgito post-animalista dei nostri tempi
Gli Sbiellati: Una rubrica per tentare di guardarci allo specchio e non piacerci
BIELLA – Vivere il proprio tempo, se fatto con consapevole curiosità, può essere anche divertente. Non nel senso che ci si ammazza dalle risate, ma in quello che si scoprono sindromi strane, nervosi tic sociali che magari non galleggiano a pelo d’acqua, ma esistono e resistono sottotraccia. Abitudini e cambiamenti in atto, alcuni repentini e altri che sedimentano strati di vissuto sociale prima di divenire visibili agli occhi.
Un esempio: nel Paleolitico uscivamo di caverna per andare a caccia con gli amici – il calcetto non c’era ancora e per la caccia non serviva il porto d’armi – e non ci mettevamo molto a trovare un mammut.
Ora usciamo di casa per andare a giocare a calcetto e non ci mettiamo molto a trovare un cinghiale che rovista nella spazzatura.
Nel Paleolitico ci siamo beccati alcune glaciazioni senza saperle prevedere, mentre ora consultiamo un’app sul telefonino per capire se domani ha senso prendere un giorno di ferie oppure no. Sul riscaldamento globale, comunque, litighiamo ancora. Certo, tra il Paleolitico e l’adesso di tempo ne è passato e restano poche tracce dell’accaduto, possiamo solo immaginarlo. Almeno fino a che non nacquero i giornali locali, per restare nel nostro piccolo.
Quelli, più che i fogli nazionali, raccontavano e ancora raccontano il nostro quotidiano. Con severo sprezzo della banalità, ma tutto sommato non è che siamo poi così eccezionali, rispetto al tutto, e certi schemi sociali sono ostinatamente ripetitivi e un po’ s’assomigliano tutti. C’è quindi da dire che ora certi cambiamenti li possiamo recepire “in diretta” con un’accorta, anche se disinvolta, lettura dei giornali che ci riguardano. Pur senza indagarne il perché e il percome, solo per prenderne atto.
C’è un filone di notizie che, credo, potrebbe essere riconducibile a uno di questi cambiamenti in corso: vedo apparire, sempre più numerosi, articoli e brevi relativi a incidenti stradali con animali. Sono inciampato in uno che addirittura titolava: “Raffica di animali investiti”. Nello specifico, si tratta generalmente di cinghiali, caprioli o volpi. L’approccio giornalistico può essere diverso, secondo la sensibilità animalista dell’estensore: si va dal piglio inquisitore di “Ucciso un capriolo” alla frustrazione di “Ennesimo incidente causato da un animale selvatico”.
Sarà che i lockdown da Covid hanno contribuito alla ripopolazione della fauna selvatica, sarà che ci sono più automobili in movimento, sarà che la velocità sostenuta può essere una delle cause e la distrazione da cellulare un’altra. Sia come sia, sembra essere una problematica di contemporanea attualità. Questi accadimenti, escludendo quelli che generano morti o feriti, sono soliti generare un curioso fenomeno di rigurgito post-animalista. Almeno nei commenti social, dove è più facile leggere, anche se superficialmente, il sentiment diffuso.
Le fazioni che si confrontano sono quelle di chi è a favore dei cinghiali e di chi è a favore delle auto, e generano curiosi dibattiti. Con netta prevalenza di chi è favore delle auto. E si può capire, perché pochi sono gli automobilisti assicurati contro questo tipo di evento e molti quelli che devono pagare di tasca propria i danni all’auto. Fa comunque specie (!) la percezione che si dia diversa dignità a questi animali rispetto a quelli domestici, ormai antropomorfizzati fino alla nausea.
C’è chi, impavido, sostiene che gli animali selvatici, per il loro e nostro bene, debbano restare nel loro habitat, indignato per questa loro invasione di campo. Lo fa senza essere sfiorato dall’idea che ad antropizzare il territorio siamo noi, mica il contrario. E s’invoca spesso la polenta, anche se l’ironia in questi scambi di battute è merce rara.
C’è chi, colto da un eccesso di autotutela (letterale), confessa di aver montato sul cruscotto una dash cam per documentare un suo eventuale scontro con un ungulato invasore. Insomma, tra un troll e l’altro emerge il fenomeno sociale: in queste discussioni chi difende l’animale viene messo malamente a tacere. C’è qualcosa che non torna, in questa “evoluzione”.
D’altronde, se non invocare la prudenza, quale può essere la soluzione al problema, l’eliminazione totale della fauna? O la recinzione globale delle strade periferiche? In realtà esiste, in proposito, uno studio di Arpa Piemonte del 2005 e pratiche sperimentali di attraversamenti dedicati (sovrappassi, sottopassi) sono applicate in diverse realtà. A noi invece restano solo i paradossi: divertente sarebbe regalare agli animatori di queste discussioni un soggiorno a Manaus, la città amazzonica in cui incontrarsi per strada con scimmie, caimani, bradipi, enormi ragni velenosi e serpenti è all’ordine del giorno.
Lele Ghisio
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