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Pausa Caffè

Quei fantasmi del vecchio ospedale

Pausa caffè: è rimasto solo un silenzio saturo di ricordi, di speranze e di addii

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BIELLA – Sta circolando da alcuni giorni su internet un video che mostra lo stato attuale del vecchio ospedale di Biella, il monoblocco in particolar modo, compresi sotterranei e magazzini. Su tutto aleggia un senso di disagio e di tristezza.

E non tanto per le condizioni dell’edificio in sé, comprensibilmente in stato di fatiscenza dopo otto anni di abbandono, con evidenti segni di degrado strutturale ravvisabili per altro anche nelle aree esterne. Ciò che procura una stretta al cuore sono le immagini interne, quei corridoi interminabili, gli intonaci che si stanno sbriciolando, tante porte socchiuse, gli scaffali ribaltati con scatoloni gettati al suolo, fogli sparsi (che si spera non contengano dato sensibili sui pazienti o sul personale). E, ancor di più, barelle abbandonate nella semioscurità che se potessero parlare riverserebbero fiumi di angoscia, di dolore, di attesa, di speranza di coloro che hanno trasportato per decenni. Carrelli in metallo con oggetti abbandonati come se la loro corsa di stanza in stanza, di reparto in reparto, si fosse improvvisamente arrestata.

Sedie accatastate, computer in disuso gettati in un angolo. I locali della angusta portineria con vecchi monitor collegati ad altrettanto vecchie telecamere disabilitate, mazzi di chiavi ammucchiati su di un tavolo. E, ancora, i disegni a colori vivaci sulle pareti del reparto di pediatria, tentativo di recare un sorriso, almeno sul volto dei bimbi, in un luogo di sofferenza.

A far da contrasto l’obitorio, che trasuda morte in ogni angolo, con vecchie targhe alle porte che recitano “sala di vestizione”, “sala benedizione salme” e, sullo sfondo, un grande crocifisso, di quelli che hanno voluto rimuovere, assecondando la balordaggine della laicità dell’ospedale, con ai piedi un mazzo di rose rosse finte, lasciato lì chissà quando, chissà da chi e chissà con quali auspici.

E le sale operatorie con le grandi lampade un tempo in uso per illuminare corpi in attesa di rinascere. Su una di queste, qualcuno ha scritto “smile” disegnando un sorriso sul vetro. E nei magazzini, vecchie sedie a rotelle, strumentazioni disattivate da tempo, letti, qualcuno ancora con cuscino e materasso sui quali si è adagiata la polvere del tempo e dell’oblio. Ancora un mazzo di fiori secchi avvolto nella carta dei sacchetti del pane, qualche cavo scosso dalle correnti d’aria che filtrano attraverso finestre rimaste aperte o forzate, come alcune porte, da qualche disperato che ha fatto di quel luogo, frequentato da innumerevoli e malinconici fantasmi, la sua dimora.

Nulla fa pensare ad un trasloco, ma tutto richiama ad una fuga precipitosa. E’ rimasto solo un silenzio saturo di ricordi, di speranze e di addii. Interrotto da qualche sinistro cigolìo.

 

Giorgio Pezzana

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