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Sono persone, non trattiamole come “pacchi”

Pensieri e parole: la storia di Angela da Kabul a Biella per scappare dai talebani, ora è costretta a lasciare la scuola e trasferirsi nuovamente

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BIELLA – Pochi mesi fa, in questo spazio, ho raccontato la storia di una ragazza afghana scappata dai talebani su un aereo, tristemente famoso, a cui alcuni uomini rimasero aggrappati in un disperato tentativo di fuga.

La ragazza oggi ha 16 anni ed è arrivata a Biella con un fratello di 12 anni e con la mamma. Si è iscritta all’istituto alberghiero e, con la sua famiglia, si è trasferita in una comunità che l’ha accolta, le ha insegnato la nostra lingua in un percorso di progressiva integrazione, che ha consentito a lei ad ai suoi familiari di vivere normalmente, come ognuno di noi auspica per se stesso.

Con una decisione repentina, che ha sorpreso anche la scuola per la mancanza di preavviso, la prossima settimana Angela e la sua famiglia lasceranno il biellese per una nuova destinazione in una comunità in Calabria.

La gestione degli immigrati, come consuetudine in Italia, avviene in condizione di emergenza, per cui i richiedenti asilo sono avviati a centri di accoglienza straordinaria, sotto il controllo del Ministero degli Interni e, quindi, spostati da un centro ad un altro con criteri di logica e umanità che lasciano un po’ a desiderare.

La ragazza e suo fratello interromperanno bruscamente l’anno scolastico e i rapporti sociali con i compagni, gli insegnanti ed i volontari che li hanno seguiti.

Le dichiarazioni del Ministro Piantedosi ci fanno dubitare che non siano semplici battute: i profughi in Italia sono “carichi residuali”, schiacciati negli ingranaggi di una burocrazia rigida e insensata.

Questa strategia non ferma i flussi migratori e contribuisce a creare disordine, aumentando il malessere dei cittadini, senza avvantaggiare nemmeno i profughi. La ragazza vorrebbe tornare a Biella in futuro, pur nutrendo ora la speranza che le è stata paventata che in Calabria, forse, potrà congiungersi al resto della famiglia. La storia della ragazza è simile a quella di migliaia di altri immigrati che vengono spostati come merce, sulla base di gare d’appalto vinte dalle cooperative o da associazioni varie. Se venissero destinati i fondi direttamente ai comuni, la gestione sarebbe meno disumana e si otterrebbe un beneficio anche per il territorio ospitante. Il piano di integrazione fa acqua da tutte le parti, purtroppo non solo in senso figurato, e va al contrario non solo del buon senso, ma dei sentimenti.

 

 

 

Vittorio Barazzotto

 

Nella foto Angela e la sua famiglia insieme agli insegnanti che l’hanno seguita nel suo primo anno in Italia.

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1 Commento

1 Commento

  1. Pier Giovanni Malanotte

    20 Marzo 2023 at 11:06

    Ma non sarebbe ora di pensare al problema della immigrazione tenendo in primo capo le persone ? non fosse altro che rivolgendo al pensiero ai nostri emigranti, anche attuali.

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