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Riccardo Marzaglia, 99 anni, racconta la sua vita

Il pensionato cossatese racconta la sua vita. L’infanzia tra i campi, i tre anni a Berlino e la vita in fabbrica

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Ci accoglie nel suo cortile esposto al sole, Riccardo Marzaglia, 99 anni compiuti, classe 1923, ed è il caso di dirlo, ben portati.

«Non fosse per le ginocchia che non mi tengono più in piedi, andrebbe bene, del resto l’età c’è. Si porta pazienza» dice subito, spigliato.

Riccardo è nato alla Masseria, località prossima ai campi ancora oggi coltivati. Gli chiediamo di raccontarci della sua vita.

«Una volta non si pensava a giocare. Si stava a quello che diceva la famiglia. Coltivavo la terra con mio papà Giuseppe, detto “al Nèiro”, che non era scuro di capelli, perché l’éra sènsa, tamme mi – era senza, come me -. Ho cominciato a uscire quando avevo 16 anni, che sono andato sut padrun dal Gal. La tèra a l’éra dal nonno Marcello, dei Marzaglia. Si coltivava an poc ad tüt, patate, fagioli, per la famiglia. C’era poco da vendere. Avevamo tanta vigna e il vino si vendeva. L’orto si faceva tra un filare e l’altro, nella zona che oggi è via Milano. Si coltivava il granoturco e avevamo le bestie, le vacche, il cavallo e il maiale, anche due in un anno, i conigli e le galline. La carne non mancava. Non si andava a comperare niente, anche se era rosso sul calendario – anche se era festa -. Ho vissuto così».

«Papà mi aveva comprato il cavallo, facevo il carrettiere, servivo le fabbriche con il carro. Ogni mattina andavo a Biella. All’inizio lavoravo con l’Emilio Abate, detto al Miglièt. Andavo a prendere acqua nello Strona e la portavo dove costruivano la strada nuova per Vallemosso, via Maffei. Durante il servizio militare, a 19 anni, sono stato tre anni in Germania, a Berlino. I tedeschi mi avevano pescato a Trento. Là facevo la fame, non per il lavoro, perché c’era bisogno di manodopera, ma per il mangé. Però la pèl l’è ‘ngnua a cà – però la pelle l’ho portata a casa -. A cà dal Gal – Manifatture Gallo Vittorio – ci sono andato dopo. Volevo un camion, perché avevo la patente militare, girata in civile. È accaduto però che un parente, con un amico in fabbrica, mi avesse trovato un posto dal Gallo. Andando lì vughia düi sot anca mi – vedevo due soldi anch’io -. Sun andà dinta là e sun surtü an pensiun – sono entrato là e sono uscito in pensione -, per 35 anni, però me ne mancavano due di anni, per via del fallimento, e ho lavorato poi al Mompolino di Mottalciata con i cavalli da corsa. Sono andato in pensione a 65, nel 1988. Subito ho coltivato la terra e dopo ho dovuto coltivare la sedia per via delle ginocchia. Gli anni si sentono».

«Ho visto nascere le scuole della Masseria sul mio terreno, che mi è stato espropriato. La strada era sterrata, si avvicinavano con il motocarro. Mi cardia mai da vugghe na strà parécc – non credevo di vedere una strada così -. C’è stato un grande sviluppo. Prima era terra da coltivare. C’era anche il “Badoglio“ che lavorava, era un mezzadro del Gallo. Lo chiamavano così perché era stato la persona di fiducia del generale Pietro Badoglio. Sono poi arrivate le Case Gescal, le Case Fanfani-Gallo, due palazzi e casa mia. Era via Cesare Battisti, poi è diventata via Milano. Era il 1963. Sono vecchio ma ho ancora cose da raccontare».

«Sono stato poco con gli amici. Ero sempre con mamma, Eva Bono, papà e mia sorella Alba. Alla sera si andava in cortile, sedevamo su una pietra e parlavamo con i vicini. Mancavano anche… – e ci mostra i polpastrelli delle dita, li strofina fra loro, per intendere che non c’erano soldi -. Adesso si lamentano, ma la fame c’era prima. Cossato contava 5.000 abitanti. L’aumento c’è stato dopo la guerra, quando il Gallo, il Fila e i Sella sono cresciuti con le attività e sono arrivati i migranti dal Veneto».

«Mio nonno Marcello Marzaglia è nato nel Cantun Mal Anvualà – via Tarino -. La nonna si chiamava Angela Paschetto. Al cantun apparteneva in gran parte a don Tarino e l’altro lato della strada era dei furmagiat – formaggiai, un soprannome -. Dove oggi c’è la piazzetta fra le vie Battisti e Vercellotto c’era una rùscia grossa – ruscello -, che chiamavamo La Via. Quando c’era tanta acqua, o si mettevano i piedi a bagno, o si stava a casa».

E finalmente Riccardo svela il suo “segreto” della longevità: «Ai dutur iù sèmpe scartaie – i dottori li ho sempre evitati -. Ho fatto due piccole uperaziun. La mia disgrazia sun ai gambe. Mangio poco, ma ho appetito, e riposo bene. A volte entrano nella mia stanza e dicono: “T’è mort?”, ma io sto dormendo tranquillo».

Anna Arietti
anna.arietti@gmail.com

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