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Riaperto per Covid

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Fonzarelli di provincia

BIELLA – Hanno riaperto le scuole. Lo hanno fatto, in qualche modo, riaccogliendo gli alunni mai così ansiosi e curiosi del primo giorno di scuola. Abbiamo vissuto tutti ogni inizio dell’anno scolastico come un’interruzione d’esercizio dell’estate e delle vacanze: più che l’inizio di qualcosa la fine di qualcos’altro. E sempre con sommo dispiacere. A questo giro non dispiace invece l’entusiasmo dei ragazzi, che in quest’occasione s’incastra con le ansie – e le speranze – dei genitori che, a loro volta, si sommano all’apprensione della classe docente, sempre al netto delle immancabili insofferenze di alcuni. Che la psicosi collettiva indotta dal Covid e dai provvedimenti che hanno generato il tentativo di arginarlo sia ancora tutta da elaborare è evidente.

A questa riapertura ci siamo arrivati in affanno, con le istituzioni di vario grado col fiato corto. Per inettitudine e inefficienza, per scarsa lungimiranza e un italico approccio, fin troppo fatalistico, al problema. Risolversi a discutere fino al giorno prima – e ancora adesso a dir la verità – di problematiche e possibili soluzioni di ciò che era evidente già da marzo sarebbe follia per chi non fosse nato e vissuto in questo Paese, in cui la proroga è legge e il rinvio una pratica quotidiana. Cosa pensavano i nostri eterni (in)decisori? Che il virus sparisse d’incanto e una volta archiviato il passato anno scolastico con un ko tecnico per abbandono di campo, ora si potesse ricominciare come se nulla fosse accaduto o possa ancora accadere?

Intanto soltanto la metà degli studenti superiori hanno iniziato davvero; intanto alcune scuole sono senza servizio mensa per un mancato accordo tra Comune e ditta appaltante; intanto Regione e Ministero discutono ancora su chi misura la febbre; intanto ai banchi con le ruote non hanno ancora tolto il freno a mano; intanto le nomine degli insegnanti si sono rivelate peggio gestite della lotteria Italia. Tutto come se non ci fossero stati mesi per mettere ogni puntino sulle i. Invece. La passerella di amministratori nostrani per la foto opportunity è stata invece puntuale, per esempio.

Altra cosa che sfugge e che tende a restare sottotraccia è la mancata piena ripresa dei servizi comunali. Dal 18 maggio scorso si è fatto tutto il possibile per la ripresa delle attività economiche, spesso derogando anche sulla minima prudenza opportuna: prolungamento più o meno discrezionale di orari e aperture (ricordate i parrucchieri aperti la domenica e il lunedì?); ampliamento dell’utilizzo di suolo pubblico per spazi all’aperto, che nella logica avrebbe dovuto permettere di accogliere lo stesso numero di clienti del passato e che invece, spesso, è stato utilizzato per accoglierne molti di più a dispetto del distanziamento. A fronte di tutto ciò gli orari di apertura al pubblico degli uffici comunali si sono contratti e tali sono rimasti. Sul sito del Comune si esplicita che “la disposizione avrà efficacia fino al 15 ottobre venturo compreso, fatte salve diverse indicazioni”.

Insomma: scuole, attività economiche (quelle non a rischio di contagio diretto), sanità hanno ripreso; la Pubblica amministrazione continua a fare un po’ finta di nulla, Biella compresa. È di questa settimana lo sfogo pubblico di un assessore regionale, leghista, che lamenta come il 70% del personale ancora oggi lavori da casa, e qualcuno pur non avendo un computer o un tablet. Da una parte un inaccettabile eccesso di “prudenza amministrativa”, dall’altra un non voler accettare che la convivenza con il Covid comporta qualche revisione rispetto alla nostra vita precedente e che non ci si può assembrare come ci pare. Molto all’italiana.


Lele Ghisio

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