Attualità
Il profeta della cultura che non dà da mangiare
BIELLA – Nei giorni scorsi, il Premio Biella Letteratura ed Industria, ha attribuito all’ex ministro Giulio Tremonti, un riconoscimento speciale per il libro “Le tre profezie”. Questo personaggio, quando era titolare del dicastero dell’Economia nel Governo Berlusconi, divenne famoso per la frase “Con la cultura non si mangia”. Poi, cercò di correggersi, di smentire, di rettificare, ma ormai la frittata era fatta.
Insomma, si ritrovò ad ingrossare le fila, assai consistenti nell’era berlusconiana, di coloro che suggerivano agli studenti di dedicarsi a studi tecnici e non a quelli umanistici, perché con la letteratura e l’arte, secondo loro, non si cavava la pagnotta. Ora Tremonti si scopre scrittore (quindi si occupa di letteratura, ma probabilmente per lui la pagnotta non è un problema) e viene anche premiato per un libro con un titolo profetico tanto quanto non lo fu la sua celebre frase.
Si, perché, non è vero che con la cultura non si mangia, anzi, lo sappiamo bene anche a Biella che con la cultura c’è chi mangia sino all’indigestione.
C’è chi ha fatto per una vita l’imprenditore nel mondo dell’editoria e della cultura a suon di contributi pubblici e c’è chi, dietro alla maschera del cooperativismo con finalità sociali, ha attinto risorse (sempre pubbliche, beninteso) per lo svolgimento di incerte iniziative culturali. Del resto, negli anni renziani prese piede il concetto di “cultura produttiva”, che sostanzialmente aveva quale malcelato scopo quello di togliere di mezzo le associazioni di volontariato (quelle che davvero reggevano, in tanta parte d’Italia, l’impegno culturale, senza partita Iva) promuovendo la cultura d’impresa, consegnandosi così nelle mani di tanti presunti imprenditori del settore. I quali però, le loro attività in ambito culturale, le hanno realizzate con l’irrinunciabile (e a parer loro doveroso) sostegno dei contributi pubblici.
Cercando prima l’applauso complice delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali (a seconda delle colorazioni politiche, ma senza farsi troppi scrupoli), poi le generose e non sempre avvedute elargizioni delle Fondazioni bancarie, quindi i fondi attinti dai bandi europei e, perché no? anche i frutti di un po’ di crowdfunding, che non fa mai male. Con quali risultati? Conti perennemente in rosso, sistematicamente “salvati”, in parte o in toto, da quei contributi pubblici che sono in realtà soldi delle comunità, siano esse locali, nazionali o europee (anche quelli delle Fondazioni). Dunque, aveva torto Tremonti quando asseriva che con la cultura non si mangia? In linea di principio, solo in alcuni casi, aveva ragione. Ma a fare la differenza è la variabile dei contributi pubblici, con i quali tutti son bravi a fare gli imprenditori. E a mangiare.
Giorgio Pezzana
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