Attualità
Anna Bersano racconta il suo secolo di vita
OCCHIEPPO INFERIORE – “Saper invecchiare è il capolavoro della sapienza, e uno dei più difficili capitoli della grande arte di vivere”.
Prosegue il nostro affascinate viaggio tra gli anziani del Biellese, tra coloro che con due parole ci insegnano mille cose. Se anche voi volete raccontare la vostra storia chiamate il giornale (015.32383) o scrivete a direttore@nuovaprovincia.it
Oggi parla Anna Bersano, classe 1921, di Occhieppo Inferiore. L’anziana signora, ha compiuto 100 anni lo scorso 2 marzo. I suoi genitori erano Maddalena Pozzo e Carlo Bersano.
Cent’anni appena compiuti, complimenti signora Anna. Sicuramente avrà tanti bei ricordi che la riconducono alla sua giovinezza, giusto?
«Pensi, io sono nata in casa, a Occhieppo Inferiore. Una volta era così. Mio papà di professione faceva il geometra. Era stato anche sindaco del paese e – malgrado il periodo che stavamo vivendo – lui era riuscito a non prendere la tessera del Fascio. Ricordo che in casa avevamo i libri del Catasto, ogni tanto di notte ne cadeva uno ed io mi svegliavo di soprassalto».
Poi purtroppo scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, che cosa le viene in mente di quei brutti momenti?
«Sono stati meno duri che per altri credo. La mia era una famiglia contadina. Ricordo le passeggiate in campagna con il nonno e un maialino tenuto al guinzaglio. C’erano alcuni soldati, non so più di che origine, che rubavano le galline. C’era tanta fame. Ci recavamo quotidianamente a Biella. Un giorno decidemmo di non andare. Fu la nostra fortuna. Una rappresaglia tedesca catturò un paio di nostri amici poco più che ventenni. Subito dopo furono fucilati al confine tra Occhieppo e Biella».
Lei fu la moglie di Marco Boccacino, in che anno vi conosceste?
«Durante il periodo bellico. Ricordo come fosse ieri un fatto. Una sera Marco era ancora da me. Tutto d’un tratto ci accorgemmo che era già passato l’orario del coprifuoco e, non sapendo come fare io fermai dei tedeschi di passaggio chiedendogli di accompagnarlo a casa. Suo papà, vedendolo arrivare con loro si spaventò a morte e per la gioia che non fosse successo nulla di peggio al figlio offrì ai tedeschi una bottiglia di vino».
In che anno decideste di convolare a nozze?
«Nel 1949. Come molti altri giovani beneficiammo del boom economico. Andammo in viaggio di nozze a Roma in treno. Appena arrivati Marco ebbe la febbre alta. Camminammo per via del Corso in una Roma abbastanza spettrale in cerca di una farmacia».
Che mestiere faceva suo marito?
«Avrebbe voluto fare il medico. Purtroppo i suoi genitori non avevano le disponibilità economiche per iscriverlo all’università. Allora suo papà gli propose di fare il liceo a Biella e diventare ragioniere. Così fu. Riuscì ad aprirsi uno studio. Io per un periodo di tempo andai a dargli una mano, poi in seguito mi dedicai ad una piccola azienda agricola di famiglia; pensi, ho coltivato fino a oltre 90 anni. Avevamo alberi da frutto ed altre piantagioni. Avevamo anche le galline. Ho confezionato migliaia di marmellate e conserve da consumare durante le stagioni invernali. La nostra casa era sempre aperta a tutti. Organizzavamo pranzi con gli amici, soprattutto a base di cotolette impanate. Poi purtroppo Marco venne a mancare. Era il 1998».
Dalla vostra unione nacquero dei figli?
«Sì, Mariangela, impiegata ora in pensione e Carlo che fa l’avvocato, ha uno studio a Biella. Poi ho avuto la fortuna di avere quattro splendidi nipoti».
Ha qualche immagine storica del nostro territorio che più la emoziona?
«Il trenino che da Occhieppo Inferiore andava a Biella. La partenza avveniva da via Alla Ferrovia. Ricordo come fosse ieri il rumore degli zoccoli delle donne che, alla mattina si dirigevano a prenderlo per poi andare a lavorare. A me, è sempre piaciuto il treno, pensi che con mio marito tutti gli anni si andava in ferie a Parigi».
Ora come trascorre le sue giornate?
«Purtroppo non riesco più a cucinare, allora mi dedico al cucito e realizzo lavoretti con la lana. Il giorno del mio centesimo compleanno ho finito una coperta colorata, e il giorno seguente ne ho iniziata un’altra».
Mauro Pollotti
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