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Fabio Enzo, core de… Biella: ricordi (non) sbiaditi in bianconero original tra gol, citazioni e colpi di testa!
Fabio Enzo, core de sta città: Roma! E di un’altra: Biella! E di tante altre ancora: Venezia, Salerno, Mantova, Cesena, Napoli, Verona, Novara, Foggia, Reggio Calabria, Omegna! E la sua Cavallino! Ma noi siamo quelli della Biela! E coloriamo di bianconero il ricordo di Fabio Enzo. A volte irridente, altre sornione, mai placido. Sempre esuberante. Un uomo vero! Non parleremo di numeri e statistiche. Neppure di presenze, gol, squalifiche e doppi passi (anche falsi!). Di questo è già stato spalmato tanto inchiostro sulle rotative e nei capitoli della vita!
Verrebbe da dire “genio e sregolatezza” e sull’argomento entra in tackle scivolato Marco Debernardi, mentore dell’operazione “Enzo a Biella” e filosofo honoris causa del calcio biellese:
“Volli, e volli sempre, e fortissimamente volli” (Siena, 6 settembre 1783 – cit. Vittorio Alfieri; mi corregga il sempre attento professor Sergio Caligaris se erro!). Assunto l’impegno di fare grande la Biellese nobilitandone i colori, patron Debernardi non lesinò colpi a sensazione: «Ho avuto due giocatori che spiccano tra altri talenti: Silvino Bercellino e Fabio Enzo. Due attaccanti fenomenali, ma diversi. Anche fuori dal campo. A chi mi chiede di tratteggiare il personaggio Enzo, rispondo con una domanda: quale definizione si potrebbe dare di una persona che porta al guinzaglio una gallina? A Novara i meno giovani sapranno rispondere meglio di chiunque altro. Sicuramente geniale, ma non sregolato come potrebbe sembrare, si faceva voler bene. Era un generoso e se in inverno incrociava un senzatetto non ci pensava due volte a sfilarsi il cappotto. A tavola si tratteneva solo nei ritiri. Per il resto ristoranti selezionati. Era aficionados del locale di Antonio Michelone, da lui sapeva di trovare il meglio. Adesso in Cielo parleranno di menù, bottiglie e bagordi. Mi piacerebbe sentire quei discorsi, già li immagino. Quando giocava da me, ogni settimana mi portava chili e chili di pesce fresco del suo mare. Di lui ho un ricordo a tutto tondo».
Non disdegnava rimpatriate a Biella in occasione di partite ed eventi benefici a favore della Domus Laetitiae. Adorava quei ragazzi di Sagliano Micca, che conosceva bene grazie alle frequentazioni durante i campeggi estivi nella sua Cavallino (Venezia). E quando tornava in città non disdegnava capatine alla Lucciola e al Bugella. Per l’occasione Luigi Apicella riesumava gli epici boccaloni doppio litro di birra, mentre la famiglia Sechi proponeva il meglio della cantina, distillati compresi. Come Tex Willer e Kit Carson adorava le bistecche alte tre dita e un aneddoto al riguardo ne esalta pure le doti da ballerino: la Biellese giocava a Vercelli, se avesse segnato gli proposero di esultare come era solito fare Juary, il funambolo brasiliano dell’Avellino: il balletto intorno alla bandierina. Nel derby per di più! Detto e fatto: in palio un bue by Cavagnetto Carni! Buon appetito.
QUEL (MIO!) PRIMO GOL DI TESTA!
Uno dei ricordi più nitidi della mia infanzia in bianconero è quel gol rimasto rinchiuso in un allenamento al Lamarmora. In quel pomeriggio di primavera inoltrata del 1979 ci raggiunsero nel nostro spicchio di campo Ambrogio Borghi e Fabio Enzo. La Biellese, a lungo in lotta per la promozione in serie B e finalista di Coppa Italia con il Siracusa, si allenava nell’altra metà campo. Per noi piccoli calciatori fu una festa incredibile apprendere che due campioni di quel calibro avrebbero coadiuvato il nostro mitico allenatore Arturo Tabarelli. Probabilmente acciaccati, furono esentati dall’allenamento dei grandi. Venne il momento della partitella, Borghi ed Enzo si misero a fare le squadre. Come? “Alle bombe del cannon. Pastasciutta macaròn. Bim bum bam!”. Erano proprio come noi, dei bambinoni cresciuti! Insomma pari e dispari.
Fui tra i prescelti del bomber dai baffoni e questo già era motivo di estasi. Poi venne il momento delle istruzioni: questo omone smise i panni del burbero e ci spiegò sorridente come avremmo dovuto disporci in campo. Ebbe parole da filastrocca e distribuì incarichi a tutti: portiere, difensori, centrocampisti. Poi venne il turno degli attaccanti. Eravamo rimasti in tre: «Tu a destra e tu a sinistra». Rimasi solo più io: «Tu hai già fatto un gol di testa?», mi chiese. Risposi di no e lui replicò: «Oggi farai il tuo primo gol di testa!». Mi sollevò letteralmente da terra e mi pose a cavalluccio sulle sue spalle: «Con i piedi “faso tuto mi”. Tu colpisci di testa e basta». Detto e fatto: trovò il modo di farmi segnare di testa!
Adesso quella testa mi scoppia. Troppo dolore. Solo ricordi, nostalgia e lacrime. Questo è il calcio che amo. Tutto il resto è noia. Califano docet: «Ecco, la musica è finita. Gli amici se ne vanno. E tu mi lasci solo più di prima. Un minuto è lungo da morire». Un minuto di raccoglimento. Un minuto per sempre. Un minuto dopo il 90°! Forsa Biela!
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