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Il Vescovo: «L’anima della società è nello spirito di servizio»

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In tempi di Coronavirus il Vescovo di Biella Monsignor Roberto Farinella ha risposto ad alcune domande evidenziando il lavoro della Chiesa locale e raccontando come vive questo tempo dove ogni istituzione è impegnata a fronteggiare questa pandemia.

Eccellenza il tempo che stiamo vivendo è uno dei periodi più difficili nella storia del nostro Paese. Tante le unità di volontariato che si stanno impegnando per fronteggiare il Covid19. Quale è l’impegno della Chiesa locale con le sue opere di carità e i suoi sacerdoti su questo fronte?
«E’ un tempo di emergenza inedito, del tutto nuovo, che non avevamo, almeno le ultime generazioni, vissuto con queste difficoltà. Sono tante le situazioni nelle quali le autorità pubbliche si sono trovate dovendo garantire la salute dei cittadini, il contenimento della diffusione del virus pandemico, per la quale non c’è ancora un vaccino, e dovendo sostenere la popolazione nei servizi essenziali. Anche la Chiesa ha accolto la sfida di questa emergenza e si è messa a disposizione garantendo che le chiese rimangano aperte per la preghiera e anche l’ascolto delle persone, con le dovute misure di sicurezze suggerite dall’autorità sanitaria, tipo il distanziamento, la mascherina, ecc.. Dal punto di vista della solidarietà sono operanti la Caritas e i gruppi caritativi che hanno continuato la loro opera, anche se dimensionata. Alcuni giovani hanno dato disponibilità per dare una mano per la distribuzione dei pasti della mensa del Pane quotidiano e altri sono all’Emporio equo solidale, o per dare aiuto con una semplice telefonata».

Come vive e quali sono le attività del Vescovo in questo periodo?
«Anche per me sono giorni molto particolari. Abbiamo dovuto celebrare tutte le liturgie della settimana santa senza la presenza dei fedeli, ma con la possibilità ugualmente di stare vicino alla gente con le trasmissioni via streaming. Ho potuto partecipare a qualche augurio attraverso le piattaforme, come anche molte riunioni che erano previste sono state fatte tramite questi strumenti. Ho poi potuto portare il ringraziamento della nostra comunità ai medici e al personale sanitario dell’ospedale, ai volontari, alla protezione civile».

Quale messaggio vuole dare alla diocesi e ai cittadini biellesi che vivono questo tempo emergenziale?
«Il giorno di Pasqua ho potuto rivolgere un messaggio alla Diocesi, finita la santa messa e uscendo sulla piazza. Erano presenti anche il Prefetto e il sindaco. Ho voluto ricordare che quest’anno, più che mai, nei giorni che preparano la Pasqua, la meditazione della Via della Croce ci ha fatto incontrare le periferie del mondo, toccare le ferite dell’umanità e della stessa Chiesa, portando anche noi nella nostra carne le tante preoccupazioni che stiamo vivendo nelle nostre comunità. In questi giorni si è però anche visto che la risposta migliore alla prova è la solidarietà umana, soprattutto quando è modellata dalla carità, si offre in generoso servizio agli altri: nell’assistenza agli ammalati, nello svolgimento del proprio dovere quotidiano, nell’attenzione agli anziani, ai ragazzi, alla propria famiglia isolata, molte volte, in pochi metri quadrati. Tante persone con il loro operato e la loro responsabilità sono una testimonianza che l’anima della società è lo spirito di servizio. Un pensiero va anche ai tanti nonni che ci hanno lasciato, spesso senza poter dare loro un saluto. Molto significativo è un testo che abbiamo visto circolare in questi giorni e che riassume il sentimento di tutti: “Se ne vanno, mesti, silenziosi, come magari è stata umile e silenziosa la loro vita, fatta di lavoro, di sacrifici. Se ne va una generazione, quella che ha visto la guerra, ne ha sentito l’odore e le privazioni, tra la fuga in un rifugio antiaereo e la bramosa ricerca di qualcosa per sfamarsi. Se ne vanno mani indurite dai calli, visi segnati da rughe profonde, memorie di giornate passate sotto il sole cocente o il freddo pungente. Mani che hanno spostato macerie, impastato cemento, piegato ferro, in canottiera e cappello di carta di giornale. Se ne vanno quelli della Lambretta, della Fiat 500 o 600, dei primi frigoriferi, della televisione in bianco e nero. Ci lasciano, avvolti in un lenzuolo, come Cristo nel sudario, quelli del boom economico che con il sudore hanno ricostruito questa nostra nazione, regalandoci quel benessere di cui abbiamo impunemente approfittato. Se ne va l’esperienza, la comprensione, la pazienza, la resilienza, il rispetto, pregi oramai dimenticati. Se ne vanno senza una carezza, senza che nessuno gli stringesse la mano, senza neanche un ultimo bacio. Se ne vanno i nonni, memoria storica del nostro Paese, patrimonio della intera umanità. L’Italia intera deve dirvi grazie e accompagnarvi in quest’ultimo viaggio con 60 milioni di carezze”».

Emanuele Dondolin

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