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Biella

L’ospedale di Biella non ha nulla da invidiare agli ospedali delle grandi città

Intervista al primario di ortopedia Walter Daghino

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BIELLA – Top player. Così nel calciomercato viene definito un giocatore di valore assoluto. Una definizione perfettamente calzante per il dottor Walter Daghino, arrivato a Biella esattamente due anni fa dalla “Città della Salute e della Scienza” di Torino, per dirigere e rilanciare la struttura complessa di Ortopedia e Traumatologia. Un “grande acquisto” per l’Asl di Biella, nonostante in questi 24 mesi, con l’esplosione della pandemia, non sia stato facile sfruttare appieno tutto il suo potenziale per portare avanti progetti a lungo termine. Eppure le basi per un nuovo corso sono state gettate.

Vale la pena, dunque, di conoscere meglio e più da vicino questo professionista, che rappresenta uno dei fiori all’occhiello della nostra Asl. Preparazione, determinazione e visione, questo emerge ascoltando le parole di Daghino. Nel suo sguardo sembra di cogliere la scintilla, quella che Dante deve aver immaginato negli occhi di Ulisse, quella che porta ostinatamente a seguire “virtute e canoscenza”.

Dottor Daghino, qual è il bilancio di questi primi 24 mesi? E cosa l’ha spinta a scegliere la nostra città?
Sono state fatte molte cose e il bilancio è senza dubbio positivo, ma molte ancora ne rimangono da completare per cui il lavoro è ben lungi dall’essere finito. Nel 2001 venni a Biella per il mio primo incarico di docenza alla scuola infermieri e ne ricavai l’impressione di una città a misura d’uomo, con una ottima qualità di vita e tante brave persone che ci abitano: quelle considerazioni hanno pesato nella scelta di intraprendere il percorso che ora sto vivendo.

Nel corso dei decenni Ortopedia è stata più volte “bersagliata” dalle critiche. Quale situazione ha trovato al suo arrivo? Quali sono i suoi progetti per far crescere la struttura complessa?
All’inizio è stata molto evidente la sensazione che in passato vi erano stati alcuni problemi e difficoltà e che si respirava un clima di generale insoddisfazione, ma in molte persone ho riscontrato anche una grande voglia di invertire la tendenza e una grande disponibilità alla collaborazione ed è su queste cose che abbiamo incominciato a lavorare sin da subito per portare avanti il progetto di crescita professionale e di implementazione dell’organico concertato con la Direzione e che ancora oggi è in pieno corso di svolgimento. Ho percepito tanta voglia di fare, il che ci ha permesso di rimboccarci subito le maniche. Non siamo ancora alla fine del percorso, ma la linea è stata tracciata. E per quanto riguarda i luoghi comuni… sono fatti per essere sfatati.

Era qui da poche settimane quando è scoppiata la pandemia. Come ha influito sul lavoro e i progetti suoi e dei suoi collaboratori?
E’ stata una tempesta che in alcuni momenti ha spazzato via ogni altro pensiero e che ha di fatto “rallentato” alcune fasi del cambiamento che vogliamo realizzare: ci ha costretti a dedicare moltissime risorse alla gestione della traumatologia e ci ha limitato gli spazi per la chirurgia di elezione, con conseguenze che ancora ora non si sono completamente assorbite ma che speriamo al più presto di lasciarci alle spalle.

Dal punto di vista umano e professionale, la pandemia l’ha cambiata in qualche modo?
Dal punto di vista umano resterà per sempre un bruttissimo ricordo, oltre a una triste sensazione pensando alle persone che per colpa di questo virus ci hanno lasciato; dal punto di vista professionale direi di no… Ha limitato o modificato alcune parti delle nostre occupazioni quali l’attività scientifica, ma la struttura portante delle nostre occupazioni è rimasta immutata e non poteva essere altrimenti.

Lei arriva da una grande struttura torinese. Quali sono pro e contro di una realtà ospedaliera più “a misura d’uomo” come quella biellese?
Parto subito dicendo che per infrastrutture e dotazioni quella biellese è una realtà che non ha nulla da invidiare ai grandi ospedali cittadini; a questo dato di fatto aggiungo che il dialogo ed il rapporto con gli organi direttivi è sicuramente più facile ed immediato e questo a mio avviso ne rappresenta un indubbio vantaggio, forse una delle cose più piacevoli di questa realtà “a misura d’uomo”; alla voce “contro” per ora metto solo la diffidenza e resistenza di una (piccola) parte di operatori e cittadini locali, che ancora non si rendono conto di quanto siano fortunati ad avere a disposizione una struttura così moderna come il nuovo ospedale, forse perché ancora legati a logiche riferite alle vecchie strutture sanitarie ed a modelli di gestione non più attuali.

In questi giorni si è parlato di  “fughe” e carenze di personale, che riguarderebbero anche i suoi reparti. Qual è la reale situazione e come viene fronteggiata?
E’ stata una presa di posizione francamente poco comprensibile da parte di coloro che l’hanno sostenuta: in effetti, la carenza di personale è reale, ma è condivisa da tutte le strutture ospedaliere nazionali, non solo piemontesi, ancorché qui sia al momento forse più impattante dal punto di vista dei numeri. Nonostante ciò, grazie all’enorme lavoro svolto, in questi due anni c’è stata una netta inversione di tendenza e ora non solo i cittadini biellesi che richiedono di andare in altre sedi per farsi operare per traumi o patologie ortopediche sono molti meno, ma addirittura sono invece aumentati i numeri di coloro che da altre zone del Piemonte e da fuori regione richiedono di essere curati presso le nostre strutture!

E per quanto riguarda la difficoltà di accesso alle prestazioni ambulatoriali?
La realtà contingente è spiegata non solo dalla carenza di organico (per il quale comunque è già stato bandito un nuovo concorso e sono stati attivati bandi per instaurare collaborazioni con specialisti esterni di supporto), ma anche da un aumento esponenziale delle richieste di visite ortopediche prodotte dal territorio, ovviamente in parte generate dall’effetto accumulo creatosi inevitabilmente nei lunghi mesi del lockdown. Per fare fronte a questa situazione di emergenza, alcuni dei miei collaboratori, pur con una preesistenza di esubero orario importante creatosi in seguito alle carenze di organico ed alle necessità di servizio assolte nei mesi precedenti, hanno comunque aderito ai programmi regionali volontari di attivazione di visite ambulatoriali supplettive allo scopo di contenere i tempi di attesa per gli utenti e stanno collaborando con la politica aziendale tesa a fare tutto il possibile per ridurre i disservizi, per cui la visione data allo stato di cose negli ultimi giorni mi è sembrata quantomeno “ingenerosa”, soprattutto nei confronti delle tante persone che hanno tenuto e stanno tenendo la barra diritta.

Lei ha fama di essere un talent scout. Ad esempio, ha già arruolato due medici della Scuola di specialità di Torino. Qual è il segreto attrarre menti e mani giovani e ambiziose?
Nessun segreto ma molta disponibilità a farsi carico delle aspettative e a rispondere all’esigenza e desiderio di crescita delle persone più motivate. Ho riproposto a Biella quanto in passato hanno fatto i miei maestri con me e con i chirurghi della mia generazione che hanno avuto la possibilità di formarsi e maturare in un ambiente dinamico e orientato al confronto costruttivo. In più, per convinzione personale, ritengo che i giovani siano la ricchezza dei gruppi di lavoro e di conseguenza dedico molto del mio tempo a pianificare la loro attività perché si possa svolgere in maniera proficua e senza esporli a rischi e situazioni di difficoltà: la risposta a questo atteggiamento è spesso entusiasmante e in breve tempo ci ripaga di tutti gli sforzi fatti e del tempo dedicato alla formazione. Per usare la metafora calcistica, credo sia fondamentale puntare sul “settore giovanile” per arrivare in futuro ad essere sempre più performanti.

In pochi mesi ha portato a Biella un corso che ha visto la partecipazione di ortopedici da tutto il Paese e ha “battezzato” una delle prime protesi su misura in 3D per la caviglia realizzate in Italia. Ha altri “colpi” in serbo per l’immediato futuro?
Risultati come quelli della protesi su misura non sono preparati o calcolati a tavolino, ma nascono dalla ricerca su un problema specifico, dalla necessità di trovare soluzioni fuori dagli schemi per superare ostacoli altrimenti non affrontabili con profitto. Devono esserci le giuste condizioni. Si tende a considerare strade non convenzionali in caso di pazienti giovani e molto motivati, che desiderano esperire ogni tentativo per ridurre le conseguenze di incidenti di cui sono stati vittima. Insieme al paziente ogni volta si valutano tutte le eventualità, anche quelle negative, perché bisogna sempre intraprendere scelte consapevoli. Ovviamente un margine di incertezza c’è sempre, perché negli interventi con tecniche innovative manca il conforto dei risultati a lungo termine.

Com’è stato l’impatto con i pazienti e, più in generale, le persone biellesi? Impressioni?
I pazienti sono, per definizione… pazienti, ma prima di tutto persone. E posso dire che ho avuto modo di conoscere tante brave persone. Qualcuno forse soffre un po’ della “sindrome dell’erba del vicino” ed è un peccato, perché spesso l’opzione che abbiamo “sotto casa” è molto più valida che altrove ma non ce ne accorgiamo. L’aumento di pazienti che arrivano da altre province ha avuto ripercussioni positive anche da questo punto di vista. Qualche tempo fa, solo per fare un esempio, un paziente biellese, accorgendosi di “tutta questa gente che viene da fuori”, ci ha detto: «Meno male che mi sono fermato qui, chi ce lo fa fare di andare a cercare sempre altri ospedali…».

In questi due anni avrà avuto modo di conoscere la realtà locale anche fuori dall’ospedale… Il suo piatto biellese preferito?
E’ una domanda impegnativa, anche perché in questo periodo non è che si potessero frequentare molto i ristoranti… Di sicuro ho avuto modo di apprezzare la polenta concia biellese.

Molti medici quando operano hanno una colonna sonora specifica… E lei?
In sala operatoria non ho una playlist, anche perché cerco di liberare la testa e sono molto concentrato, quindi non sento cosa c’è attorno. Più in generale ascolto musica “senza tempo”. Mi piacciono molto i Dire Straits. Quando metto qualche loro canzone, ogni tanto mia figlia mi dice “papà, mi pare di averla già sentita questa cosa qua”…

A proposito… A Biella l’ha seguita anche la famiglia?
Per adesso no, sono rimasti a Torino. Ho due ragazzi in età scolare, inseriti in contesti di amicizie e attività sportive lì, non sarebbe stato facile cambiare radicalmente le loro abitudini. Sto facendo avanti e indietro,  qualche sacrificio per riuscire comunque a dedicare loro tempo. Ogni tanto mi fermo Biella, la maggior parte delle sere torno a casa.

Tornando al suo lavoro, lei ha più di 2mila procedure chirurgiche alle spalle, c’è qualche caso che l’ha coinvolta particolarmente o cambiata?
Non c’è una vicenda specifica, si tratta di una crescita continua: tutti i pazienti con i quali ti relazioni ti permettono di crescere. Tutto parte dall’approccio, fondamentale perché si instauri quell’alleanza terapeutica che permette di lavorare per lo stesso obiettivo. Mi rendo conto che adesso ho una capacità di interagire che forse 15-20 anni fa non avevo. E’ l’esperienza, la conseguenza di tanti piccoli episodi che sono gocce che ti arricchiscono giorno dopo giorno. Anche con i colleghi vale un discorso simile. Quando hai la possibilità di lavorare con tante persone che hanno la “scintilla”, gente di serie A, puoi “rubare” loro molte cose positive e migliorare quotidianamente.

Domanda a bruciapelo… Torino è bianconera o granata? E lei?
Parlo per me: sono molto bianconero.

Se non avesse scelto la medicina e la chirurgia, oggi cosa farebbe?
Non saprei rispondere. Ho avuto sostanzialmente due fasi nella mia vita: prima volevo fare il calciatore, poi quando intorno ai 14 anni mi sono reso conto che non sarei arrivato al professionismo, ho deciso che sarei diventato un medico. Non avevo un piano B e non ho mai avuto l’occasione di pensarci in modo serio, perché ho sempre dedicato tutte le mie energie alla medicina.

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1 Commento

1 Commento

  1. Gabriele

    26 Ottobre 2021 at 17:31

    Sull’efficienza dell’ospedale di Biella avrei qualcosa su cui ribattere in lista da gennaio 2020 per una cataratta nessun contatto!!!
    Inoltre sono in lista per un intervento di tunnel carpale e dito a scatto da settembre 2019…come presa in giro sono stato contattato nella primavera scorsa se volevo restare in lista…
    Forse pensavano mi avesse già operato il mio macellaio di fiducia…

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