BiellaLei non sa chi sono io
Lei non sa chi sono io: Danilo Astrua
La rubrica con cui Edoardo Tagliani racconta i titolari delle vie cittadine

Esistono anche eroi di guerra che recitarono in famosi film. Non diretti da registi holliwoodiani, ma da artisti della propaganda su celluloide della Repubblica di Salò, come fu Mario Baffi, cineasta di regime.
Questa però è la storia del militare, dell’alpino, dell’attore, non del regista: Danilo Astrua, nato a Graglia nel 1913 e morto sul fronte russo il 20 gennaio del 1943, dove resta sepolto nella fossa comune di Nowo Postojalowka, teatro della più feroce battaglia tra le truppe sovietiche e quelle di Roma. Scrive nelle sue memorie il Generale Emilio Faldella: «Quella sanguinosa, disperata battaglia che durò, pressoché ininterrotta, per più di trenta ore ed in cui rifulse il sovrumano e sfortunato valore dei battaglioni e dei gruppi della Julia e della Cuneense, che ne uscirono poco meno che distrutti (…) la più dura, lunga e cruenta fra le molte sostenute dagli alpini, sia in linea sia nel corso del ripiegamento».
Lì trovò la fine Astrua, che un decennio prima si era arruolato (1933) e poi era partito per la Guerra d’Etiopia, dove fu ferito e riportato a casa per le cure. Decorato con la “Croce al merito di guerra” e promosso di grado, venne rispedito (è il 1940) sul Fronte Occidentale prima e su quello Greco-Albanese poi.
Le tante trincee gli valsero altre promozioni, fino a raggiungere il grado di Capitano nel 1942 e a meritarsi un ruolo nel film di cui sopra, passato agli archivi Luce col titolo “I trecento della Settima”, pellicola girata tra Limone Piemonte e le falde del Bianco che celebra in toni propagandistici i reduci d’Albania, tra i quali, appunto, Astrua. Fu scelto, come il resto degli attori tranne uno (il solo professionista del cast) tra alpini veri. Si dice, nella storiografia di settore, non per velleità di neo-realismo, ma per il budget ridotto che il regime in macerie prima e la Repubblica di Salò poi, non propriamente fiorenti, potevano garantire.
A lui Biella ha dedicato una via, anche se non trafficatissima, a dire il vero. È il vicolo cieco a fianco degli ex uffici Atap, oggi sede in ristrutturazione dei “Laboratori biellesi per l’occupabilità” e domani, forse, nuova casa di aule scolastiche. Se chi scrive non sbaglia, l’eroe di guerra non ha nemmeno un numero civico.
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