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Cronaca

Coronavirus a Biella scatta il piano d’emergenza ma si trattava semplicemente di influenza

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Coronavirus a Biella scatta il piano d’emergenza ma si trattava semplicemente di influenza

Scriviamolo subito che è meglio. Nel Biellese non c’è alcun caso di coronavirus, tutti quelli che sono a letto con febbre, mal di testa e sintomi vari sono semplicemente colpiti dalla normale influenza che ogni anno obbliga a letto milioni di connazionali. Punto. Fatta questa doverosa premessa, continua invece a salire inarrestabile la psicosi del contagio che ha mietuto la prima “vittima”.
Convinta di essere stata contagiata e autodiagnosticatasi la terribile malattia, nella notte tra venerdì e sabato una donna ha chiamato il 118. Ora se è vero che l’autodiagnosi non è una prova scientifica, il personale del servizio d’emergenza non può correre alcun rischio, neanche minimo, e quindi davanti a una situazione di potenziale pericolo, ancorchè improbabile, è scattato il protocollo previsto in questi casi.
Così all’abitazione della donna residente in città, il personale si è presentato protetto da tute, maschere, guanti, sovrascarpe, insomma tutto il necessario per operare nella massima sicurezza. Massima attenzione, ovviamente, anche al pronto soccorso dell’ospedale cittadino dove la paziente è stata accolta per essere immediatamente posta in isolamento in attesa dei controlli di rito. Controlli che hanno certificato che, senza dubbi di sorta, del coronavirus non vi era la benchè minima traccia, molto più semplicemente la “contagiata” era afflitta dalla normale influenza stagionale, tutta di nazionalità italiana.
Sembra che la donna avesse maturato l’idea del coronavirus in quanto giornalmente a contatto, per questioni strettamente lavorative, con un uomo di nazionalità cinese. E a nulla erano valse le continue rassicurazioni del collega sul fatto che il suo ultimo viaggio in Cina era di gran lunga precedente al manifestarsi dell’epidemia.
A dimostrazione che in questo momento la psicosi faccia più danni dell’influenza stessa, c’è da segnalare la crescita del sospetto per tutto quello che riguarda le attività cinesi. La dimostrazione, e non si tratta di un caso unico, è nel cartello apparso sulle vetrine di un’attività commerciale cittadina di via Amendola: «A tutti gli italiani che amano il Giappone. In questo ristorante non serviamo nessun prodotto proveniente dalla Cina». Insomma, noi siamo giapponesi, non cinesi.

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