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Un’App mostra com’era la Biella del passato

Tra le righe, la rubrica di Enrico Neiretti

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Nel tentativo, purtroppo o per fortuna mai portato a effettivo compimento, di definire il mio rapporto con la città, mi sono spesso ispirato alla figura del flâneur: flâneur è un termine francese (invero di origine incerta), che indica una persona che vaga per le vie cittadine senza fretta, sperimentando e provando emozioni nell’osservare il paesaggio. Questa figura è stata resa celebre – tra gli altri – da Baudelaire e dal filosofo Walter Benjamin, che ne hanno definito i comportamenti tipici. Baudelaire sintetizzò la figura del flâneur in immagini perfettamente calzanti come “botanico del marciapiede” o “uno che porta al guinzaglio delle tartarughe”, per sottolineare la natura lenta e contemplativa della flânerie.

Benjamin definì la figura di flâneur in senso sociale, facendone la figura simbolo di uno sguardo di analisi sulla società nata dalla vita moderna e dalla rivoluzione industriale. Addirittura alcune scuole di pensiero individuano nella flânerie una tecnica di ricerca sociologica in virtù della sua natura di osservazione attenta e curiosa delle dinamiche di vita cittadine.

Facendo qualche ricerca in rete per questo articolo ho scoperto una mole gigantesca di saggi e studi sulla flânerie, a rimarcare e a confermare il suo carattere diffuso ed affascinante. Sì, perché oltre alla sua rilevanza letteraria, sociologica ed antropologica, la flânerie è innanzitutto un approccio emotivo al vivere sociale, un modo di porsi di fronte alla poderosa dinamica della società con i sensi in allerta e l’animo emozionato in ricerca perenne di bellezza.

E poco importa se non ci si può permettere di essere dei veri flâneur, dei flâneur a tempo pieno, che secondo alcuni è la condizione necessaria per praticare davvero questo modo di vivere: la flânerie, come sguardo sulla città, come modo di vivere la città, è innanzitutto un anelito interiore, un tentativo di relazione personale ed individuale con i luoghi, non mediato da ruoli, compiti, appartenenze collettive, e come tale è un emozionante esercizio di libertà.

“BiArchive: the past for the future” è un progetto della Biblioteca Civica di Biella, coordinato dalla responsabile Anna Bosazza e realizzato, grazie al finanziamento di Compagnia di San Paolo (bando “Next Generation We”), in equipe con gli archivisti Danilo Craveia e Giulia Magliola di Promemoria Group di Torino e la sperimentazione sul campo di Barbara Caneparo ed Elena Cravello di Naturarte.

Il presupposto è un lavoro di digitalizzazione dell’importante patrimonio di documentazione fotografica, di mappe catastali, di documenti sulla città di Biella, conservati nell’Archivio di Stato di Biella. Questo progetto è culminato nell’elaborazione dell’App “ArchiVìe”, un’App che suggerisce al visitatore alcuni percorsi tematici all’interno della città e nel territorio della provincia a cui sono abbinati ricchi contributi fotografici relativi ai punti di interesse ed altrettanto corposi approfondimenti sulla storia dei luoghi. In questo modo si può scoprire, percorrendo fisicamente o virtualmente gli itinerari proposti, com’erano città e provincia nel passato, come i luoghi siano stati fortemente segnati dall’avvento dell’industrializzazione, come il tessuto urbano si sia evoluto nel corso del tempo. E’ un’esperienza immersiva, molto ricca di suggestione e di spunti di interesse.

Attraverso questa sorta di viaggio nel tempo si possono capire meglio i luoghi in cui viviamo, si può visualizzare l’evoluzione e, sì, anche l’involuzione dell’assetto territoriale, si possono intuire le dinamiche sociali determinate dalle fasi storiche, si può davvero legare il passato al presente e anche al futuro. Che poi -questo legame tra passato e futuro- è il motivo ispiratore del progetto, evidente sin dal suo nome.
Nel ripercorrere le strade di Biella non soltanto orizzontalmente in senso geografico, ma anche verticalmente con l’immersione nella storia e nelle storie, ho davvero fatto l’esperienza di una flânerie diversa, completa, ricca di uno sguardo fondato su una conoscenza che non avevo. Vedere i luoghi consueti, quelli che si percorrono in modo distratto e veloce, attraverso una diversa prospettiva storica è fonte di consapevolezza e di conoscenza preziose.

Cogliere nelle immagini fotografiche, nelle mappe, negli stralci documentali l’assetto e l’aspetto passato di luoghi famigliari cambia la percezione e la visione attuale, contribuisce a rimuovere un po’ di quella barriera di incomprensione che i luoghi erigono sempre di fronte allo sguardo avido di conoscenza del flâneur.

E la dimensione della flânerie, sia nel suo aspetto emotivo e sentimentale che in quello più rigoroso di osservazione sociale, trae grande forza da questo cambio di prospettiva che le permette di tuffarsi in un tempo andato recuperandone almeno in parte le suggestioni, e di osservare i cambiamenti urbanistici, architettonici, sociali e culturali della città e del territorio rafforzando il legame tra le storie e le sensibilità individuali, e la storia dei luoghi.

E’ bello dunque scoprire che la flânerie può essere anche un cammino nel tempo, che esattamente come negli itinerari urbani compiuti con i sensi e le emozioni attivate, si possono cogliere elementi sottili di fascino nelle vecchie immagini, si può ragionare sui fatti in una prospettiva storica, ci si può lasciare andare alle sensazioni che la stratificazione di un tempo passato, ma ancora in qualche modo presente, muove dentro l’animo del flâneur.
Enrico Neiretti

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