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Una diga di cui si può fare senza

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Fonzarelli di provincia

Si dice spesso che in politica è necessario un cambio. Che nuovo è meglio, se è giovane di più. In Regione se ne sono viste infatti di tutti i colori, negli ultimi vent’anni: c’è stato un periodo in cui pure le mutande hanno cambiato tinta, per darsi una mano di verde. C’è invece qualcosa che resiste, tanto d’aver in qualche modo previsto pure una successione dinastica: il Consorzio di bonifica della Baraggia biellese e vercellese. Per lui i colori non cambiano, o comunque poco gli importa e poco sposta il suo lento, ma costante, lavorio lobbistico condotto sottotraccia.

Qualche settimana fa, la Giunta regionale annunciava in pompa magna il suo “road show” nei territori, per mostrare la propria vicinanza e mostrare fisicamente la propria esistenza fuori dal palazzo torinese. Il tentativo era quello di annunciare al mondo anche la propria capacità di ascolto dei territori, ora che siamo in vista di spartizione della più grande torta mai sfornata dal secondo dopoguerra in qua.

A Biella il carrozzone regionale ha fatto tappa nel pomeriggio dello scorso 4 marzo: ben un intero pomeriggio, dal dopo pennica all’aperitivo, per ascoltare tutto il territorio biellese. Ai meno ingenui è chiaro che l’unico effetto che si volesse raggiungere fosse quello della passerella compiaciuta, farcita dei luoghi comuni delle tante parole e poche idee. A dimostrazione delle quali era sufficiente il titolo dato alla kermesse: “road show”. Che in finanza si usa per intortare gli investitori sulle scelte fatte dalla dirigenza, ma che mantiene in radice quello “show” che sa appunto di spettacolo. Se ne tentiamo un’improvvisata traduzione letterale, giusto per non farci intrappolare dagli anglicismi, ne caviamo uno “spettacolo itinerante” che suona molto diverso, non vi pare?

Uno spettacolo che ha avuto la sua brava liturgia, prevedendo in apertura e chiusura l’intervento delle nostrane assessore e in mezzo tutto il resto, con alcuni privilegiati in presenza e altri meno comodi in assenza, collegati da remoto alla faccia della vicinanza ai territori: viviamo un momento di confusione logistica, semantica e sanitaria, ai limiti del paradosso.

Durante l’esibizione, dal cassetto nel quale era riposto, il Presidente di noi piemontesi ha tirato di nuovo fuori soffiando sulla polvere, e anche con una certa enfasi, il progetto della diga in Valsessera. Solo che il cassetto in questione non era certo quello dei sogni del territorio, e nemmeno quello dei bisogni. Alla faccia dell’ascolto. Era solo il cassetto della politica dei progetti mai nati, dove si è soliti ravanare nel caso di un’improvvisa pioggia di denaro pubblico e si è a corto d’idee o prodighi d’interesse. È il nostro personale ponte sullo Stretto.

Del resto i virgolettati attribuiti dai giornali al Presidente citano “una massa di denaro mai vista” e la diga come “classica opera da Recovery fund”. Se non ci fosse da piangere, verrebbe almeno da sorridere a pensare che la dizione più corretta sulla quale spinge l’Unione Europea è, in realtà, “Next generation Europe”. Cioè: nell’ambito di una logica volta tutta al futuro, verde e digitale, noi proponiamo un progetto vecchio di decenni a cui il territorio è fermamente contrario e che prevede una gettata di cemento, questa sì, mai vista. Alla faccia, ancora, della transizione verde citata da una delle nostre assessore, e dal Biellese località per “viaggiatori raffinati” così definito, sempre dall’impavido Presidente, nell’ambito del necessario sviluppo turistico.

Un corto circuito progettuale, dettato dalla dichiarazione utile alla bisogna, da indossare se è il caso. Insisto: come si può conciliare una simile opera con la definizione di “Sito d’importanza comunitaria” di cui gode la Valsessera? Un concetto definito dalla direttiva comunitaria 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche.

Qualcuno dalle maggioranze in carica comincia a sventolare sotto al naso degli amministratori locali le eventuali opere di compensazione: riusciranno questi a resisterne al fascino? Intendiamoci: non è questo il caso di una sindrome Nimby; non è la salvaguardia dell’orticello che ci sta a cuore. Ma l’idea che se un simile muro di cemento – con tutto quel che ne consegue – è stato inutile in questi ultimi 30/40 anni, non si vede proprio perché si debbano spendere oltre 300 milioni di euro per un’opera di cui si può fare senza, e il tempo lo ha dimostrato. Non è certo quella la soluzione infrastrutturale che comporterebbe “immediate ricadute sul territorio”, come dichiarano, tra una frase fatta e l’altra, i suoi paladini.

Lele Ghisio

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1 Commento

1 Commento

  1. SMARCO

    17 Marzo 2021 at 10:04

    i soldi vanno dati alle ong per fare arrivare invasori clandestini a popolare la valsessera
    imbarcati con casarini

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