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Ugo Mirra uomo integerrimo d’altri tempi

A ricordarlo è la figlia Milena, che ne traccia l’esperienza in guerra e il ritorno alla vita civile

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Ugo Mirra uomo integerrimo d’altri tempi. Nato nel 1920, era originario della borgata Ferrere di Valle San Nicolao. A ricordarlo è la figlia Milena, che ne traccia la vita spesa in Africa, in tempo di guerra, con la conseguente prigionia in Gran Bretagna e il ritorno alla vita civile.

Ugo Mirra uomo integerrimo d’altri tempi

«Papà aveva fatto il militare a Napoli nel 1941. Poi era andato in Africa, ma la partenza veniva ritardata e lui allora aveva pensato di tornare a casa a salutare i genitori – racconta -. Era scappato, prendendo il treno era arrivato a Biella. Ai militari del servizio di ronda aveva spiegato il motivo dell’allontanamento. Salutata la famiglia, si era riconsegnato all’esercito, facendo però qualche giorno in prigione. Nel frattempo il battaglione era partito.

Col senno di poi, è stato un bene che fosse tornato a casa, il cacciatorpediniere su cui avrebbe dovuto trovarsi, era stato silurato e i membri dell’equipaggio erano morti. Della prigionia a Napoli, raccontava che in cella era pieno di pidocchi. Era poi stato mandato in Africa, nella zona fra Tripoli e Alessandria d’Egitto. Menzionava il generale tedesco Erwin Rommel, “La volpe del deserto”, per il quale aveva inciso degli anelli, attività in cui papà si dilettava. Parlava di aerei, del doversi riparare in una buca nel terreno per non essere mitragliato. Papà si occupava della manutenzione dei macchinari».

La prigionia

Ugo era poi stato fatto prigioniero e deportato in Inghilterra per tre anni. «Era costretto al lavoro in una cava di calce e nelle fattorie a raccogliere barbabietole. Con i contadini si trovava bene, mentre le guardie lo punzecchiavano con la baionetta. Una volta si era ribellato, ma per fortuna senza conseguenze. Gli si era poi congelato un piede e volevano amputarglielo.

Era già su un tavolaccio per l’intervento, quando si rifiutò. Si era curato con impacchi di acqua calda. Non amava gli inglesi, giocavano a calcio con violenza. Per tutto il tempo dell’internamento, papà non aveva avuto notizie di casa. Aveva anche rifiutato di collaborare con i militari. Era tornato nel 1946 con il transatlantico britannico “Mauretania”, sbarcando a Taranto».

La vita da “civile”

Il rientro non fu buono. Nella notte, in caserma, i militari vennero rapinati e alcuni degli ex prigionieri rimasero uccisi. «Tornato a casa, papà ebbe l’amara notizia che suo padre Oreste era morto due anni prima. Si sposò nel 1948 con Giovannina Callegari, la mia mamma, e il 20 luglio 1950 sono nata io. Dovevo chiamarmi Maura, come la nave che lo aveva riportato a casa, poi per fortuna non è stato così».

Tornato alla vita civile, Ugo aveva ripreso il lavoro alle Officine Regis, come meccanico. «Era poi stato in banca, come fattorino. Aveva lavorato come centralinista all’Albino Botto. Infine era diventato rappresentante e commerciante di macchine per la filatura, avviando l’attività con il fratello Italo. Era andato in pensione a 65 anni. Accanto al salone di Lessona, si era riservato uno spazio per l’orto. Amava andare a caccia e praticare il tiro al piattello, tant’è che si era guadagnato diverse medaglie».

Ugo morì nel 1993 all’età di 73 anni. «Aveva la mente aperta, amava stare con i giovani, io però dovevo rimanere a casa. Era la mentalità del tempo. Fra noi c’era un rapporto di amore-odio, di parole non dette, perché non ascoltava – conclude Milena Mirra -. Ricordo che quando tornavo dall’università, mi accoglieva alla grande, ma dopo pochi minuti andava a giocare a biliardo. Era forse una questione di carattere. In guerra, pur senza mai averle subite, aveva visto tante brutture. Quando è mancato è stato il dolore più grande della mia vita».
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