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Ricoverato per il Coronavirus, “Ho visto infermieri piangere quando ho detto che mia moglie aspettava un bambino”

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“Mi chiamo Saverio e ho 43 anni, ho avuto la sfortuna di contrarre il Covid19 tra i primi a Biella”. Inizia così la lettera di una vittima del Coronavirus che finalmente si può considerare guarito. L’esperienza, drammatica,  ma fortunatamente a lieto fine, lo ha portato a fare alcune riflessioni e a un sentimento di gratitudine verso il personale ospedaliero che ha condiviso con lui il suo percorso. “Purtroppo da subito la situazione è stata complicata – racconta -, sono stato intubato, tracheotomizzato, messo in coma farmacologico. Non scrivo per raccontare che quando mi trovavo fra la vita e la morte ho visto la luce alla fine del tunnel o che il mio corpo fluttuava sotto di me, ma scrivo per un altro motivo: voglio ringraziare tutto il personale: dottori, infermiere e le varie operatrici che in questa avventura durata più di un mese mi è stato vicino con una parola di conforto o una di incoraggiamento, tenendomi la mano quando non ce la facevo più. Ho visto infermiere piangere quando ho detto che mia moglie aspettava un bambino, ho visto infermiere venirmi a trovare da un reparto all’altro solo per un atto di amore fraterno e di umanità. Ho visto medici che mi hanno trattato come un fratello o come un figlio, sempre pronti con una battuta per tirarmi su il morale. L’unico rammarico che ho è quello di non poterli riconoscere se li incontrerò  per strada a causa di tute e protezioni che li rendevano tutti uguali. Ecco perché scrivo queste righe, per poter ringraziare di cuore tutto il personale dell’ospedale che mi è stato vicino in questo duro momento.”

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4 Commenti

1 Commento

  1. Marzia Pozzato

    16 Aprile 2020 at 16:31

    Gli Angeli esistono. Grazie per questa testimonianza

  2. Juliane

    20 Aprile 2020 at 1:20

    Mi ha commosso tanto il articolo. Vivo a Lipsia dove sono arrivati alcuni italiani malati in due ospedali. Ho cercato entrare in tutti e due per poter parlare con i pazienti e dargli un sostegno morale in questa situazione tanta difficile… immaginavo che loro stiano come te… immagino quanto dev’essere difficile vivere una situazione come questa in un paese estraneo. Stando lì nel ospedale non capendo nessuna parola, temendo la morte, non poter parlare con nessuno nella propria lingua… per quello mi sono offerta ad entrare e parlare con loro, visto che sono psicoterapeuta e parlo italiano. Purtroppo non mi hanno richiamato… non conosco i motivi ma spero tanto che ci sia stata una persona vicino a loro che parli italiano e che non sia una decisione per motivi di non rischiare…

  3. Juliane Kuhn

    20 Aprile 2020 at 1:27

    Mi ha commosso tanto il articolo. Vivo a Lipsia dove sono arrivati alcuni italiani malati in due ospedali. Ho cercato entrare in tutti e due per poter con i pazienti e darli un sostegno morale in questa situazione tanta difficile… immaginavo che loro stiano come te… immagino quanto dev’essere difficile vivere una situazione come questa in un paese estraneo. Stanno qui nel ospedale e non capiscono nessuna parola, temendo la morte, non potendo parlare con nessuno nella propria lingua… per quello mi sono offerta ad entrare e parlare con loro, visto che sono psicoterapeuta e parlo italiano. Purtroppo non mi hanno chiamato i medici… non conosco i motivi ma spero tanto che ci sia stata una persona vicino a loro che parli italiano …

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