Attualità
«Reinventarmi il mestiere? Certo e sono soddisfatto»
Sergio Bono, 60 anni, originario della frazione Margherita, racconta la propria esperienza lavorativa in settori completamenti diversi fra loro
COSSATO – «Non ho mai smesso di lavorare. Dopo aver interrotto gli studi alle scuole superiori, perché non avevo voglia, a 16 anni sono entrato nel mondo del lavoro». A raccontarsi è Sergio Bono, 60 anni, in pensione da poco più di uno, che nella vita si è reinventato professionalmente diverse volte, passando da un mestiere all’altro con spirito d’intraprendenza e buona volontà.
«All’inizio ad aiutarmi è stata mia sorella Oriana, a cui sono sempre stato molto legato, nonostante i 14 anni di differenza di età. Tramite lei, sono stato assunto al Lanificio di Lessona, azienda che non esiste più. Sono poi passato a un settore diverso. Sono entrato nel mondo dell’alimentazione, con mio cognato Armando, che è stato, è mancato di recente, il fornaio della Margherita, frazione di cui sono originario. Quando accendevamo l’antico forno del 1700, era lui che preparava l’impasto per fare il pane e cuocerlo. Insieme abbiamo lavorato al Biscottificio Romersa di Brusnengo, in cui si facevano grissini, torcetti e biscotti. Ho lavorato lì fino al 1982, anno in cui ho ricevuto la chiamata per svolgere il servizio militare. Al mio ritorno, l’azienda non lavorava più a pieno regime e alla mia età avevo bisogno di un lavoro continuativo, di certezza. Avevo trovato allora impiego al Lanificio di Tollegno, in tessitura, ditta in cui sono rimasto per tre anni. Ho poi fatto domanda al colosso Esselunga di Quaregna e lì sono rimasto per nove anni, di cui gli ultimi quattro li ho trascorsi da responsabile di reparto. Era un lavoro che mi piaceva perché ero a contatto con la gente. Il mio pane. L’unico problema è che come responsabile ogni tanto ci mandavano in trasferta e quando è nata la mia prima figlia, Elena, ho pensato di guardarmi di nuovo intorno per un lavoro vicino a casa».
«L’occasione si è presentata in città. Lungo via Martiri della Libertà vendevano la “Lavanderia Laura”, attività che ho rilevato e portato avanti per 27 anni. È stato un periodo bello, anche se ero partito timoroso. Non sapevo come muovermi e mia mamma, Silvia, era contraria, perché lasciavo il posto sicuro, per quella che appariva come un’avventura. La proprietaria precedente mi aveva affiancato per tre mesi dandomi le nozioni principali, in seguito ho dovuto tirarmi su le maniche e andare avanti da solo. Col tempo, mamma si era resa conto che stavo andando bene. Mi vedeva contento, soddisfatto. Nei periodi di lavoro intenso, veniva mia moglie Claudia a darmi una mano. Devo dire che i risultati mi hanno dato ragione. Non sono diventato ricco, ma mi hanno permesso di vivere. Non bisogna impazzire per le cose».
«A bocce ferme, ora che sono in pensione, posso dire che sono stato fortunato. Ho potuto contare su bei clienti, con cui, quasi con tutti, si è creato un rapporto di amicizia. Per alcuni di loro sono diventato anche un confessore, un po’ come avviene con i parrucchieri».
«Ho cessato l’attività a malincuore. Mi sarebbe piaciuto venderla, vederla proseguire, ma non ci sono riuscito. Alla fine l’ho chiusa. Non si può andare avanti a oltranza. Ho dovuto tagliare il cordone, come si dice. A un anno dalla chiusura, mi manca quel contatto quotidiano con la gente. Per chi, come me, ha sempre lavorato con le persone, ascoltato le loro storie e le difficoltà, alla fine la vicinanza manca. A volte, le loro preoccupazioni me le portavo a casa, mi rimanevano addosso fino a sera. Erano persone che avevano bisogno di parlare, di essere ascoltate. Non cercavano consigli. Anche l’esperienza nelle corsie del supermercato prima, poi in pasticceria e in gastronomia in seguito, durata 9 anni, è stata stimolante. Sono ancora in contatto con alcuni colleghi. Passando poi alla lavanderia, accadeva che entrassero in negozio persone che dicevano di avermi già visto da qualche parte. Eh, sì, era al supermercato. L’essere riconosciuto faceva piacere».
«Oggi penso che sarei in grado di aprire un ufficio come ascoltatore – dice sorridendo -. Sono contento di quello che ho fatto. Oggi faccio lavoretti per aiutare la figlia, il figlio Simone e mia sorella. Non sono neanche più tanto dipendente dall’orologio, che è già notevole. Di recente, ho fatto un po’ di manutenzione, con mia nipote Ilaria, al forno di cui ho fatto menzione, alla Margherita, frazione a cui sono affezionato».
Anna Arietti
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