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Presunti abusi sessuali su minori: a “Chi l’ha visto?” si torna a parlare della tragedia di Sagliano Micca

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Da Biella a Cagliari, passando per Milano, Mirandola, Montevarchi e Rignano Flaminio. E’ la scia dei casi discussi che, secondo il giornalista Pablo Trincia, sarebbero direttamente o indirettamente collegati alla figura di Claudio Foti, presidente del centro Hansel e Gretel, tra i principali indagati nell’inchiesta su Bibbiano.
Un lungo servizio dedicato ai questi episodi di presunti abusi sessuali è andato in onda nell’ultima puntata di “Chi l’ha visto?”, in occasione proprio della conclusione delle indagini sullo scandalo degli affidi di minori, che ha visto salire da 102 a 108 il numero di capi d’imputazione individuati dalla Procura.
Ampio spazio, nel servizio curato da Pablo Trincia e Serena Antonelli, è stato dato al “caso zero”, conclusosi con la tragedia di Sagliano Micca, nel lontano 1996.
Il viaggio di Trincia comincia proprio dal piccolo comune della Valle Cervo, con la ricostruzione di una delle più controverse e tragiche storie della cronaca locale: il suicidio collettivo della famiglia Ferraro. Nonni, padre e zia di un bambino di 9 anni, accusati di abusi sessuali su di lui e la cuginetta più piccola.
A raccontarlo davanti alle telecamere, in un’intervista, è lo scrittore biellese Diego Siragusa, che all’indagine dedicò un libro e che da tempo sostiene la tesi della loro innocenza.
La ricostruzione parte dall’inizio, quando durante la separazione dei genitori emergono i primi disagi del bambino, disagi che diventano vere e proprie accuse. Poi vengono toccati i momenti più controversi, come la ritrattazione e la controritrattazione del piccolo che, interrogato dal pubblico ministero, dice di essersi inventato tutto, ma dopo un quarto d’ora torna insieme alla madre e riconferma la prima versione, sostenendo di essere stato spaventato dalle domande del maresciallo Santimone (“quello con la camicia azzurra”), all’epoca pilastro della polizia giudiziaria, che aveva condotto l’interrogatorio insieme al pm.
Poi c’è la botola sotto il letto dei nonni nella presunta “casa degli orrori”, botola descritta dalla piccola vittima della quale non verrà mai trovata traccia. Infine l’ingresso sulla scena di Claudio Foti, quando il pm sceglie il suo centro per le consulenze, nominando lui e la dottoressa Cristina Roccia, sua consulente e all’epoca compagna. “Non era ancora psicologa – viene sottolineato durante il servizio -, lo sarebbe diventata tre anni dopo”.
«Foti e Roccia – racconta ancora Siragusa – giustificano le apparenti contraddizioni del bambino. Anziché dedurre la sua inattendibilità come testimone, dicono che sono segno di turbamento interiore, rivelatore di abuso sessuale».
Come sostenuto anche nella conclusione della perizia: “… possiamo affermare che dall’esame della personalità dei minori sono emersi numerosi e inequivocabili indicatori di abuso sessuale”.
Si arriva quindi al tragico epilogo. La procura chiede il rinvio a giudizio e il 5 giugno del 1996 si svolge l’audizione protetta dei due bambini in una stanza. Genitori e nonni assistono da dietro una parete specchiata: «Capiscono di non avere più scampo».
Il mattino dopo è in programma l’udienza, ma gli imputati non si presentano: vengono trovati morti dentro a un’auto nel garage dell’abitazione, si sono uccisi con i gas di scarico. “Quattro innocenti – scrivono nel biglietto d’addio – sono costretti a uccidersi perché il tribunale di Biella non ha dato loro la possibilità di dimostrare la loro innocenza».
Il servizio prosegue raccontando altri episodi simili verificatisi negli anni successivi, tutti legati da un elemento comune: il coinvolgimento del professor Foti o del suo centro.

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