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Non è ancora finita

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Dire che l’attesa del 4 maggio si fa febbrile mi sa di battuta fuori luogo. Ma sembra sia davvero così, come ci fossimo idealmente messi in coda in attesa del via alla Fase 2. Come fossimo ai blocchi di ri-partenza di una vita lasciata in sospeso. Solo che mentre all’inizio eravamo un po’ sorpresi e impauriti, curiosi di vedere l’effetto che fa, ora che ci siamo abituati allo straordinario ci mostriamo annoiati e impazienti. Con la fregola di tornare alla monotonia dell’ordinario che ci apparteneva. Come fosse quella la vera novità.

Che questa condizione nasca anche dal fatto che la situazione si stia facendo drammatica da un punto di vista economico è evidente: si è inceppato un meccanismo e la preoccupazione di stare a galla mentre il bilancio familiare o aziendale affonda è giustificata. Astrarsi da questo contesto per sottolineare in rosso ciò che non va non ha senso, e nemmeno sarebbe intellettualmente onesto.

Però negli ultimi giorni qualcosa sembra cambiato: la primavera si è fatta più audace e noi pure. E mentre qualche settimana fa potevo scrivere di una città che aveva perso improvvisamente la voce, oggi non so. Non so se è una semplice sensazione, frutto di una percezione amplificata dalla piccole cose che mi succedono attorno, ma sento la città ricominciare a parlare, a esprimere un suo rumore di fondo. Forse clandestino, forse no. Non è mia intenzione estrarre l’indice dalla fondina e puntarlo contro qualcuno, ma mi sembra che restrizioni ed emergenza tendano a essere collettivamente, e forse inconsciamente, rimosse.

Nella mia ora d’aria nei dintorni di casa sono stato testimone di un traffico umano e veicolare decisamente più intenso di prima; nella mia spesa bisettimanale ho assistito a movimentazioni urbane e code diverse da quel silenzio che si diceva: lo stupore dell’assenza di voce non si è più manifestato. L’impressione è che, facendo i vaghi e fischiettando l’indifferenza, ce ne infischiamo delle disposizioni e la paura ha lasciato ampio spazio a una sorta di assuefazione ai bollettini mortali e alla sfrontatezza di una marcia verso la presunta liberazione personale.

Il problema è che questo è un problema. Non è cambiato nulla: non esiste un vaccino; non esiste una terapia; la gente continua a contagiarsi e a morire, anche se un po’ meno grazie all’isolamento sociale. Il sistema sanitario sembra non essere più al collasso, ma in Piemonte è in stato confusionale, mentre altrove non sta tanto bene neppure lui. Insomma non è cambiato sostanzialmente nulla. Solo si cerca, imparando dagli errori e purtroppo anche dalle inettitudini di alcuni amministratori, di districare la matassa e attutire il danno economico sciogliendo qualche briglia là dove è possibile farlo.

Non è che “sta finendo la quarantena”, come impropriamente dichiara il nostro Sindaco nelle sue piccole dirette Facebook. Dirette in cui, maldestramente, si dichiara “sindaco di mestiere”. Fa bene a richiedere lo sforamento del patto di stabilità, ma fa male a dire “che ne stiamo uscendo abbastanza bene”: non ne stiamo uscendo affatto. Ed è meglio che prendiamo coscienza del fatto che non ne usciremo per lungo tempo, probabilmente misurabile in qualche anno piuttosto che in qualche giorno. Che l’isolamento sociale e il distanziamento sociale diverranno regola di sopravvivenza per il tempo a venire, ai quali bisognerà ben trovare una modalità praticabile per renderli il più umanamente e fisicamente sostenibili. E di questo nelle esternazioni social di quest’amministrazione, perché di comunicazione istituzionale neanche a parlarne, non c’è traccia. Restiamo in attesa di regalie del Governo o di amici della Città, affidandoci alla benevolenza della Madonna d’Oropa. Che male non ci fa, certo, ma è cosa più da vescovo che da sindaco.

Da parte nostra resta il fatto di dover prendere coscienza che dal 4 maggio non si ricomincia come prima, ma solo si allentano le maglie di un lockdown economicamente difficile da sostenere mentre noi dobbiamo continuare a restarcene “in casa” e uscire con una buona scorta di prudenza. Da parte di un’amministrazione come si deve vorremmo invece capire come si sta riprogettando il vivere sociale in città e come la si può rendere più sicura. Restare in attesa che ci regalino anche le idee e la voglia di ricominciare come si deve non è abbastanza.

Lele Ghisio

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