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Niente sarà più come prima

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Niente sarà più come prima

«Non torneremo indietro. Lo smart-working sarà il futuro, per tutti. E per noi è già il presente».
Parola di Stephan Elsner, direttore generale di “bonprix”, multinazionale con sede a Valdengo, che fa capo alla casa madre tedesca “Otto” e vanta un fatturato di 267 milioni di euro nel 2019 nel settore del commercio online. Il lavoro svolto da casa dei dipendenti non è però un semplice surrogato, soprattutto in questo momento di crisi.

Ci spiega?
«Possiamo dire che l’home-office abbia salvato l’azienda. Nel corso dell’emergenza sanitaria non abbiamo, praticamente, mai chiuso. Non fermarsi mai è stato ed è fondamentale. I guadagni si sono ridotti. I costi ordinari li abbiamo comunque sostenuti, ma nulla della nostra catena produttiva s’è arrestato. Abbiamo continuato a ricevere ordini ed a vendere ai nostri clienti. Un fatto di non poco conto, perché alcune aziende concorrenti invece si sono fermate».
Merito del lavoro digitale…
«Dieci anni fa una crisi di questa portata, sarebbe stata fatale per l’azienda. Cinque anni fa avremmo accusato un durissimo colpo, ma credo che ci saremmo risollevati. Oggi, in linea di massima, posso dire che le perdite ed i danni economici sono importanti ma non mettono a rischio la solidità del nostro gruppo».

Il “Coro-virus” non fa paura alla “bonprix”!

«Calma. Non esserci mai fermati significa solo essere pronti a ripartire quando il Paese ed il mondo ritorneranno alla normalità. E noi nel gruppo “Otto” abbiamo cominciato a parlare di una “nuova normalità”. Questo termine esprime la nostra convinzione che dopo la crisi non si tornerà a tutte le condizioni precedenti. Tante cose cambieranno per sempre, come appunto “lo smart working”, ma anche il comportamento dei clienti, che attualmente stanno scoprendo ancora di più la convenienza del acquisto online».  

Cosa avete fatto, in pratica?
«In questo momento circa 160 persone su 300 lavorano da casa. L’abbiamo fatto da subito. I settori che erano più formati hanno iniziato prima. Altri poco dopo. Per dire, i dipendenti del “ICT” erano pronti subito (quelli del marketing non subito tutti, ma nel giro di dieci giorni erano pronti ai 100% anche loro). Discorso diverso per i lavoratori dei “call-center”; in questa sezione abbiamo un certo numero di licenze legate alle postazioni telefoniche ed ai computer, difficilmente trasferibili a casa di un dipendente senza aumentare i costi in modo esponenziale. Comunque, per ragioni sanitarie, tenendo conto dei molti contratti part-time, tutti gli operatori hanno ampi spazi all’interno dell’azienda in cui operare».

Indietro non si torna, ha detto all’inizio.
«Le riunioni saranno sempre più video-riunioni. Una gran parte dei miei viaggi periodici ad Amburgo saranno sostituiti da video-conferenze (sicuramente devo ancora salire ogni tanto su un aereo, però). Questo varrà per me, i dirigenti ma anche i dipendenti».

Perché?
«Devi fare un lavoro che richiede concentrazione e isolamento? Quale luogo migliore di casa propria… Per l’azienda c’è un investimento, ma solo iniziale e che poi darà i suoi frutti».

In questi giorni avete fatto acquisti di questo tipo?
«Abbiamo appunto investito in materiale informatico, spendendo una cifra ragionevole, per dorate molti nostri dipendenti. Vado a memoria, credo, intorno ai 50 mila euro». 

Il mondo si ferma. Le azienda mettono in cassa integrazione i lavoratori e voi investite…
«Ci sono alternative? Attenzione: la situazione non è rose e fiori neanche per noi. Se la crisi dovesse continuare, rischiamo di bruciarci gli utili dell’intero anno. Ma investire significa prepararsi al dopo, sperando che avvenga il prima possibile. Nell’ultima riunione con la Germania i colleghi hanno tracciato le linee guida e le priorità del gruppo: la salute dei dipendenti, mantenere aperti tutti i settori e provare a difendere le quote di mercato».

Le persone, in questi giorni segnati dalla paura sanitaria, acquistano abbigliamento online?
«Per qualche giorno dopo il fatidico 10 marzo, no. E sono infatti stati i momenti peggiori della nostra azienda, quando per decreto governativo abbiamo pure dovuto chiudere il magazzino. Poi le cose sono migliorante. Ovviamente non siamo alla normalità. Se le persone sono preoccupate non pensano ad acquistare».

Tutto a posto per l’estate?
«Chissà, magari dovremo fare tutti molte meno ferie. E ci consoleremo comprando una camicia o un paio di pantaloni».

Cosa pensa del presidente del consiglio Giuseppe Conte, da cittadino italiano e non più solo da manager internazionale?
«Credo che il mondo non possa che togliersi il cappello di fronte al suo lavoro. Si trova nella classica situazione dove chiunque, il più bravo del pianeta, non possa che sbagliare sempre e comunque. Se tira la coperta da un lato, danneggia l’economia. Se la tira dall’altra, mette a rischio la salute dei cittadini. Non può copiare da nessuno né ispirarsi ad altre esperienze. Io penso abbia fatto bene, ovviamente il giudizio va contestualizzato ad una situazione unica nella storia».

Da manager, cosa gli consiglierebbe?
«Nessun consiglio, non spetta a me darne. La mia opinione: Conte deve rivolgersi a tutte le forze politiche responsabili e collaborative, che vogliono davvero il bene dell’Italia e degli italiani. E fare un discorso chiaro, cercando il massimo consenso possibile. Deve dire: apriamo, con certe precauzioni e certi rischi, provando a tenere insieme tutte le esigenze. E’ un rischio ma non un azzardo. Proviamo? Ci assumiamo la responsabilità di questo passo? A quel punto nella massima trasparenza si tenta di passare alla fase due della gestione dell’emergenza».
Paolo La Bua

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