Attualità
Nel Libano sotto le bombe
Il brusnenghese Marco Perini racconta da Beirut queste ore sotto attacco
Nel Libano sotto le bombe. La voce via Whatsapp è nitida. Sembra che arrivi da poco distante. Invece Marco Perini, biellese di Brusnengo, operatore umanitario da quasi 25 anni per Avsi, si trova a un passo dall’inferno, dove esplosioni, bombe e missili sono maledettamente vicini.
In Libano, in una Beirut che sembra vivere con il fiato sospeso, nel terrore che il prossimo scoppio sia più vicino. Di certo da questo lato della connessione è impossibile immaginare quello che si prova.
Nel Libano sotto le bombe
«Adesso gli israeliani stanno bombardando la valle della Beqà, il sud del Libano e i dintorni di Beirut – racconta Marco Perini -. Noi non siamo nell’occhio del ciclone, ma le esplosioni comunque sono a sei chilometri da qui. Dove peraltro è affluito un milione di profughi di quelle zone. Chi poteva ha affittato un appartamento, ma sono pochissimi. La maggior parte vive nelle scuole che ovviamente non hanno niente di quello che serve. Noi di Avsi stiamo seguendo 10mila profughi. E tra effettivi e volontari siamo circa un centinaio, sparsi su tutto il territorio. Quattro italiani, un belga e tutti gli altri sono libanesi».
“Sparsi su tutto il territorio”, significa che molti sono dove le esplosioni oltre a sentirle vicine le vedi. Ma resti lì a comunicare quello di cui c’è bisogno ma anche a dare le ultime notizie. Proprio mentre parliamo ne arriva una: l’esercito israeliano ha raccomandato agli abitanti di 25 villaggi del sud di evacuare le abitazioni. Cioè di andarsene. E questo significa che presto su quelle case ci sarà il finimondo. Ma vuol dire anche altri profughi.
«Noi facciamo tutto il possibile per attenuare almeno un po’ le sofferenze. Come quelle dei bambini che nelle scuole piene di profughi vivono le loro giornate. Per loro organizziamo dei corsi di recupero per aiutarli nel programma scolastico e soprattutto distrarli, come facciamo anche con i giochi».
Manca tutto, si diceva. «Per fortuna c’è qualcosa di bello in tutto questo: l’incredibile amicizia, la vicinanza della gente italiana al Libano. È commovente. Abbiamo organizzato una raccolta fondi dal nome “Avsi hope 4 Lebanon”. Sono a centinaia le persone che offrono, poco o tanto, non conta. Sono vicine come fu già nel 2020 con l’esplosione al porto».
Anche per questo Perini resta al suo posto, a Beirut. E con lui la famiglia. Viene banalmente da chiedersi se non ha paura. «Certo. Ed è molto importante che ci sia: aiuta a evitare di fare stupidaggini. La paura serve a ricordarci che bisogna avere paura».
C’è anche un’altra domanda banale: quando tutto questo finirà? «Fino a quando si permetterà a Israele di calpestare tutti i diritti umani non ci sarà fine. Hanno tutto il diritto, in questo frangente, di difendersi eliminando il nemico che per loro è Hezbollah. Ma il metodo adottato è inaccettabile, non si può fare terra bruciata in tutto un Paese, pensando che in questo modo qualche nemico verrà ucciso. Intorno a Hezbollah vivono uomini, donne, bambini e così si spara nel mucchio, si massacrano decine di persone per colpirne una. Questa non è più difesa».
Non solo le bombe provocano morte
Perini spiega che non sono solo le bombe a seminare dolore e morte. C’è anche la carenza di generi di prima necessità, alimentari soprattutto.
«Il sud Libano e la Beqà sono i granai del paese. Da lì proviene molto del cibo che si consuma. Ma in questa situazione i contadini non coltivano e i trasportatori non trasportano. Mancano i rifornimenti. E le organizzazioni internazionali non riescono a far arrivare gli aiuti, sull’aeroporto di Beirut volano soltanto gli aerei della compagnia libanese. Soltanto un confine è rimasto aperto: quello con la Siria. Ma in questi giorni Israele sta bombardando anche Damasco. Noi continuiamo a far arrivare qualcosa in qualche modo. Pochissimo in confronto a quello che servirebbe».
La domanda però resta in sospeso, senza risposte. Quando finirà? Che speranza di pace esiste? Se esiste.
«In questo momento storico ha ragione Papa Francesco: questa è una guerra mondiale a pezzettini. Il vero pericolo sta nel fatto che i pezzettini si stanno paurosamente avvicinando, rischiando di diventare un solo grande pezzo. Ed è gravissima la sconfitta che sta subendo la diplomazia. Una debacle che lascia interi Paesi in balìa delle armi».
«Per il Libano questo rende ancora più pesante la situazione perché qui si sommano almeno quattro tipi di crisi: umanitaria, sociale, economica e politica. Quest’ultima è evidentissima: il Libano non ha più un governo da anni, Economicamente ha dovuto far fronte al fallimento delle banche e questo ha portato alla povertà crescente e a un disagio sociale profondo. Ora si è aggiunta la guerra in un Libano che ospitava già un milione e mezzo di profughi siriani, una vera e propria calamità».
«Con l’avvio della crisi, circa un anno fa, il Libano aveva rallentato – conclude Marco Perini -. Adesso il mondo libanese si è fermato del tutto. Questo è successo negli ultimi dieci giorni. Fermo. Bloccato. Come paralizzato. Qui si continua a sperare e noi facciamo di tutto per tenere viva la speranza. Però adesso sembra che non ci siano più colori e che l’orizzonte abbia soltanto il colore agghiacciante della guerra».
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