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Musei a pezzi e pezzi da museo

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BIELLA – Anche a voler pigramente stanziare al sole che appare tra un temporale e l’altro con una birra e una sana dose d’indifferenza, a volte s’accavallano situazioni che ci costringono alla riflessione. Questa settimana, a solleticare la sopita attenzione, ci si sono messi la diffusione del rapporto dell’Osservatorio culturale del Piemonte titolato “La cultura in Piemonte – Il 2019 e le sfide del Covid nel 2020”; l’articolo uscito su un giornale locale ispirato proprio da questo rapporto e il lancio della mostra “Dentro lo sguardo” proposta dal Museo del Territorio.

C’è da dire che già non sono particolarmente confortanti i dati 2019, se comparati alle annualità 2017/2018, ma le considerazioni su quelli che saranno per il 2020, con un semestre di oggettiva inattività, non portano a niente di buono. Al di là di tutti i bellissimi ragionamenti che sarebbe opportuno fare, e che prima o poi faremo, sul rapporto nel suo insieme, i numeri sullo “sbigliettamento”, la cui tendenza farlocca al rigonfiamento è pratica pressoché comune per allettare gli investitori pubblici e privati…

ci dicono che la maggiore flessione la subisce il cittadino Museo del Territorio, mentre la Cittadellarte del maestro Pistoletto manifesta una sostanziale tenuta.

C’è ancora da dire, anche se è già stato detto spesso, che il MdT è all’eterna ricerca di senso. Una situazione ancor più evidente alla luce – pure – delle dichiarazioni di Alberto Garlandini, da poco eletto presidente di Icom (l’organizzazione internazionale dei musei e dei professionisti museali) e primo italiano a ricoprire tale carica, che difende l’idea del ruolo sociale del museo: come “hub interculturale protagonista nella società e, insieme, al servizio della società stessa”.

Quindi dell’entità museale in movimento che contrasta con la vetusta concezione di chi intende un museo come un insieme di pareti a cui appendere quadri. O una soffitta in cui accumulare l’oggettistica della memoria e lì deposta sotto la polvere del tempo che passa, attitudine che fa sì che anche il nostro museo finisca per non interessare a nessuno: né ai cittadini né agli eventuali visitatori.

Ho la fondata impressione che ogni nostra amministrazione sia affetta da pinacotecomania, avendo come unico riferimento possibile l’arte figurativa. Oltre non ce la si fa proprio, presi come si è dalla concezione che il museo sia contenitore di materia, il cui furore espositivo assume un concetto calvinista e fordista che assimila la logica del fare e la privilegia rispetto a quella dell’essere, e mostrare, una comunità: appendo quadri recuperati dal magazzino delle donazioni, ne faccio una mostra e quindi sono museo. Senza alcuna riflessione seria su cosa possa essere davvero museizzabile, di questa comunità, in un contesto in cui i musei del mondo sono alla ricerca di nuove modalità di narrazione sociale.

La coincidenza di un Museo del Territorio con l’espressione di comunità è già evidente sin dal nome: un contenitore che dovrebbe essere motore di ricerca e definizione del patrimonio immateriale, che pure deve trovare rappresentazione in un’istituzione del genere. Un museo che è sì luogo fisico, ma anche luogo dell’anima del territorio che lo esprime e con esso si racconta. Un museo che si metta in mostra e possa divenire spettacolo permanente, tra materialismo e materialità, e in cui l’approccio esperienziale sia la priorità.

Sarà per questo che Cittadellarte mantiene invece vivo un maggior interesse anche in termine di accessi: un approccio più innovativo e contemporaneo, in cui l’innovazione è permanente. Siamo la città dei Pistoletto e dei Nespolo, il cui ambizioso e pubblico centro culturale manca completamente di un progetto scientifico e pure politico e sociale, se vogliamo, mentre la sua vocazione dovrebbe essere quella di un hub culturale da cui far partire gli spunti necessari a fare arte, ricerca, memoria condivisa. Invece che continuare a piantar chiodi alle pareti per appenderci uno sguardo da guardare di sfuggita.
Lele Ghisio

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