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«Mia madre malata di Covid assistita alla perfezione, ma per i familiari fare il tampone è un’odissea»

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«Sto vivendo da vicino l’esperienza del Covid-19, perché mia mamma è risultata positiva. Se all’ospedale e al personale sanitario non si può che fare i complimenti, altrettanto purtroppo non si può dire per quanto riguarda l’iter dei tamponi e il tracciamento».


A parlare è Francesca, donna residente nel Biellese che ci ha voluto raccontare la sua “odissea”, cominciata all’inizio della scorsa settimana.
«Ho dovuto far portare mia mamma all’ospedale perché non stava bene – premette -, il giorno seguente ci hanno comunicato che era positiva. Dato che viviamo una accanto all’altra, siamo sempre state a stretto contatto, per questo ero convinta che l’ente di competenza ci avrebbe chiesto la lista dei contatti delle 48 ore precedenti ai sintomi. A distanza di una settimana, non è ancora stato sentito nessuno di noi, a parte mia madre».


Oltretutto il giorno successivo al ricovero della signora, anche Francesca ha accusato i possibili sintomi del Covid-19.
«Sia io che mio marito – ribadisce – abbiamo avuto i primi sintomi martedì. Quindi ci siamo subito rivolti al nostro medico di famiglia, che ci ha inseriti nell’apposita piattaforma. Soltanto dopo una settimana siamo riusciti a ottenere la programmazione del tampone. Dopo 52 telefonate…».
Una situazione non facile da gestire, per tutta una serie di ragioni: «Basta pensare all’ambito lavorativo – spiega la donna -. Le aziende, giustamente, hanno bisogno di sapere in tempi rapidi se un dipendente è positivo. Per assurdo, non vivendo insieme a mia madre, non eravamo nemmeno stati sottoposti a isolamento preventivo. Ovviamente ci siamo isolati comunque per rispetto delle altre persone».


Francesca non ne fa una questione di principio e capisce perfettamente la criticità della situazione, però pone delle questioni senza dubbio fondate: «Non credo sia normale che, avendo avuto una persona positiva in casa, nessuno ci si preoccupi di sapere con chi siamo stati in contatto – continua -. Non è normale che in una situazione di questo tipo, accusando sintomi, sia io a dover insistere per poter fare il tampone. Non so perché le tempistiche siano così lunghe, ma credo che questo sia un grosso problema».
Un problema con tanti risvolti: «Cosa succederebbe se al mio posto ci fosse una persona che non può permettersi di non lavorare? – è la sua legittima domanda -. Lasci tutto al suo buon senso e speri che stia a casa per 14 giorni senza sapere se si tratti di Covid o meno? Se non le fai il tampone, appena sta meglio è molto probabile che torni a lavorare».


La donna ci tiene però a precisare che, dal punto di vista sanitario, la sua esperienza è stata ottima: «Non posso che ringraziare l’ospedale e tutto il personale: sono stati impeccabili. E so che in questo momento non è facile. Però non capisco perché per i tamponi succeda questo. Piuttosto, a questo punto, che ci si dica: “Siamo oberati, ci vogliono tot giorni”, almeno uno si mette l’anima in pace e non vive con l’ansia. Basta avere un po’ di informazioni in più».


Infine, però, un sassolino dalla scarpa se lo toglie anche nei confronti della politica: «Onestamente – conclude – mi ha fatto storcere il naso vedere che la Regione prevede dei “bonus famiglia” per i tamponi, ovviamente a pagamento, mentre con il servizio pubblico le tempistiche per chi ha sintomi sono queste… Sembra che si voglia far passare il messaggio: i tamponi fateveli e pagateveli».

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