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Attualità

L’informazione ai tempi del corona

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Un amico, all’inizio di tutto questo delirio, mi ha fatto notare quanto potenzialmente interessante potesse farsi la situazione a osservarla nei dettagli, considerandola come una sorta di laboratorio antropologico. Le riflessioni non erano, e non sono, certamente, sulla presunta o reale emergenza sanitaria, per interpretare la quale ci affidiamo a pareri di medici ed esperti. Solo un approccio da curiosi per vedere ciò che sarebbe accaduto, e sta accadendo, nei termini di reazione a questa che è la prima social-epidemia.

Intendo dire che di epidemie da panico già ne abbiamo vissute in un recente passato: la mucca pazza, l’aviaria, la Sars. Quest’ultima imparentata con la versione moderna del Coronavirus. Ma quelle non erano ancora epidemie social, nel senso che quella che stiamo affrontando è davvero la prima ai tempi dei social-media. Un fatto che determina grosse differenze, sia a livello locale che a livello nazionale, nelle dinamiche di diffusione di informazione e notizie, vere o false che siano. Utili o inutili che siano.

Durante le epidemie precedenti era dalla voce paterna della televisione e degli autorevoli giornali che ci aspettavamo rassicurazioni e dettagli. Pure alla scienza veniva riconosciuta la giusta autorevolezza; finanche, lasciatemelo dire, alla politica. Ora, invece, altro che voce paterna: è come se la famiglia si fosse messa a strillare tutta insieme; e il padre venisse tacciato d’inettitudine dal figlio, fino a poco prima impegnato con le macchinine sul pavimento di casa. Con risvolti anche divertenti, se non fosse evidente la drammaticità della faccenda. Un perfetto cortocircuitare di normative, notizie, bufale e provvedimenti che rimbalzano dai giornali ai social alla tv, andata e ritorno. Senza la possibilità d’intendere se ciò che ci arriva è l’eco oppure la voce.

Alla luce di queste riflessioni – o perversioni, fate voi – mi sono fatto un giretto sulla pagina Facebook di questo giornale. I titoli degli articoli linkati disegnano per bene la confusione che regna: “Rinviato il torneo di burraco” e già son dolori; poi “Il festival del fumetto confermato con ingressi contingentati”, seguito a sua volta in un crescendo schizofrenico da “I Cosetta sixtet si esibiranno al Circolo Sociale”. Tutto chiaro no? Come le disposizioni e i provvedimenti da adottare.

Poi fiorisce la speranza con “L’Inps dice basta code agli sportelli”, e scappa un po’ da ridere pensando ai dipendenti che lavoreranno più velocemente per smaltirle, ma è più probabile che intendessero dire altro. Scrollo ancora e: “Il presidente della Regione dichiara ‘Restiamo uniti’”. Ma come, non dovevamo stare tutti a un metro?!

Le vere perle di saggezza vengono però dispensate nei commenti a riguardo del primo caso di Coronavirus a Biella: invece di spendere soldi a disinfettare le scuole che al momento sono chiuse …possiamo disinfettare i carrelli della spesa e forse con quei soldi aumentare la produzione di mascherine serie e guanti?”, si chiede un lettore con una domanda retorica posta dall’alto delle sue sicurezze sull’igiene dei carrelli nei supermercati.

C’è pure una bella infilata, tutta italiana, di mio cugino e mia sorella e amico del cugino della mia ragazza come questo: “più o meno la stessa cosa che è successa a mia zia. Febbre alta da più di una settimana, tosse asmatica, crisi respiratorie durante la notte e non è andato NESSUNO a casa, pur chiamando tutti i numeri dedicati, guardia medica compresa”. Tranquilli, in un commento successivo specifica che ora la zia sta bene.

Capite quindi a cosa mi riferivo? Difficile evitare il panico insensato, in queste condizioni: quella che sta veramente male è l’informazione. “Ribellarsi alla vulnerabilità” potrebbe essere la cura, come letterariamente suggerisce l’amico Massimo Carlotto in chiusa di un suo post.

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