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L’essere piccoli nei giorni bui dell’emergenza

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Alla fine, questo coronavirus, ci lascerà qualcosa. E se saremo capaci di interpretare il messaggio, sarà qualcosa di positivo. Ai biellesi, anche a quelli che vanno in giro con il risvoltino ai pantaloni e senza calzini, che fa tanto milanese, farà capire quanto la provincia sia più vivibile delle aree metropolitane e quanto qui intorno vi sia tutto ciò di cui abbiamo bisogno, forse non per un’esistenza sontuosa, ma certamente per una vita più vivibile.

Agli italiani, avrà fatto comprendere quanto sia importante sentirsi…italiani. Perché, è nel momento del bisogno che si valutano gli amici e i primi amici che l’Italia ha avuto la fortuna di incontrare in questa fase di emergenza, sono stati i cinesi e non gli europei. A ciascuno di noi, questa sosta forzata, avrà concesso del tempo in più per meditare, per ritrovarsi. Nell’era industriale, abbiamo sempre più trasformato le nostre case in dormitori e depositi perché la frenesia dei ritmi e delle mode, ci ha allontanati da quella dimensione più umana e familiare che è la casa.

La casa vissuta come microcomunità, sede dei nostri affetti, luogo in cui sono custoditi i valori più veri delle nostre esistenze. Sta circolando in questi giorni su Facebook un video che intrecciando catastrofismo, ammonimenti ed esortazioni, ci sta sostanzialmente dicendo che ci salveremo solo se ciascuno di noi saprà fare un passo indietro. Il coronavirus diventa un pretesto, un messaggio, una minaccia per ricordarci l’umana fragilità e per dimostrarci come, sotto il peso delle nostre ambizioni, della rinuncia ai valori, di una dissennata corsa al denaro, le fondamenta della Terra stiano cedendo.

Cedono nell’Amazzonia che brucia, nei ghiacciai che si dissolvono, ma anche nell’indifferenza di chi in questi giorni, pur di non rinunciare a nulla, si fa un baffo dei decreti di emergenza e vive come se niente stesse accadendo, come se il monito del coronavirus fosse un oscuro disegno di chissà quali forze occulte (oltre 20mila in Italia i denunciati per non avere ottemperato alla prescrizioni del decreto di emergenza). Certo, forse qui, in provincia, molte percezioni arrivano dopo.

Quando si è piccoli si deve necessariamente pagare il costo della lontananza dalle cose più grandi, ma si vive prima la percezione di ciò che conta davvero. Per questo il Biellese, quando i giorni della grande paura finiranno e tutto ricomincerà a vivere in quella che è ormai una conclamata era post-industriale, forse in modo diverso e più consapevole, potrà davvero trovare la forza di candidarsi quale territorio a dimensione d’uomo per chi, anche se non biellese, vorrà dare un senso diverso alla propria vita ed al proprio lavoro.

Giorgio Pezzana

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