Attualità
Leandro Mantillaro è stato alpino nella “Taurinense”
All’età di 94 anni la penna nera cossatese racconta la sua esperienza con una vitalità prorompente
COSSATO – Leandro Mantillaro, 94 anni, racconta la sua esperienza nel corpo degli alpini e nel settore tessile.
Leandro Mantillaro è stato alpino nella “Taurinense”
«Sono stato svezzato subito, a 12 anni – dice, con una vitalità prorompente –. Lavoravo come garzone dal macellaio Romeo Aglietti e dalla moglie Maria e spesso portavo a casa da mangiare. A quei tempi c’era la guerra. La visita per il servizio militare l’ho poi fatta a vent’anni, nel 1950, al distretto di Vercelli. Sono stato chiamato nel 1952 a Torino, alla caserma “Monte Grappa”, sede del Comando Brigata Alpina Taurinense. II “Car” per l’addestramento delle reclute l’avevo fatto a Casale Monferrato. Anche se non ero alto 1 metro e 65, l’altezza richiesta (sono 1 metro e 64 scarso) mi avevano preso lo stesso, nonostante fossimo in troppi e non sapessero più dove metterci. Sono stato alpino genio pionieri. Facevo i campi in Val d’Aosta e a San Candido in Veneto».
Ci sono tanti pensieri nella sua mente, ma più volte Leandro riferisce di non aver mai usufruito delle licenze, perché era sempre in castigo.
«Si diceva in Cpr, in Camera di punizione di rigore – precisa -. Se superavi i sessanta giorni andavi in galera, ma non ci sono mai arrivato. Ero fatto così, ero generoso e prendevo la colpa di tutti, poi qualche volta magari era anche mia. Come in tutto il mondo, c’erano il buono e il cattivo e c’erano problemi fra brigate». Leandro però non si sbottona, non rivela le marachelle, anzi svicola: «A quei tempi ci sgridavano per cose di poco conto, anche solo scordare la porta aperta. Eravamo cinquemila persone da gestire. La cosa più bella che avevamo fatto, io e i miei amici di compagnia, era stata la ristrutturazione della caserma senza far spendere soldi, appena il costo del cemento. Siamo stati i primi in Italia ad aver mangiato con i piatti. Prima si utilizzava la gavetta».
«Non ho mai preso gradi – sbotta ancora fermo -, però i cumandava pü sé mi che i’èt (comandavo più io che gli altri). Ero nel magazzino rifornimenti, con trecento automezzi e l’attrezzatura da montagna per i campi estivi e invernali. Ero contabile, tenevo l’inventario. Al mattino l’alzata era alle 6, poi si faceva l’addestramento, marce da 60 chilometri. Il servizio militare durava 2 anni».
Quando Leandro è tornato a casa, ha ripreso il lavoro alla Manifattura “Gallo”.
«Ero entrato a 14 anni e avevo chiuso la porta con il dottor Castelli, il liquidatore della ditta. Dopo mi sono inventato un lavoro. Sembra strano, ma l’ho fatto. Mi occupavo della lavorazione di sottoprodotti tessili. Andavo nelle grandi ditte a raccogliere gli scarti di lavorazione, materiale che sfilacciavo con carde vecchie, con la carda lupo, che apriva bene le fibre, e preparavo del fiocco, che non si poteva chiamare materia prima. Poteva chiamarsi così soltanto la lana. Facevano l’ovatta e l’antirombo. Con la garnett, altra carda, sfilacciavo gli scarti di stoffa per ottenere del materiale più bello. Vendevo il prodotto rigenerato alle ditte per farci tappeti. Ho chiuso l’attività a 72 anni, nel 2002, per motivi di salute».
Può essere definito l’ecologista del suo tempo. Vivace e schietto, Leandro dice di leggere molto. «Spesso trovo inesattezze – conclude -, perché so come sono avvenute le cose, ma non voglio raccontare troppo. Ad esempio, io c’ero quando nel 1944 sono stati uccisi i due partigiani in via Corsico. Facevo il sapone per l’Aglietti, ero lì a lavorare».
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Luigi
7 Luglio 2024 at 13:33
Queste persone, oneste e leali, dovrebbero dire le cose fatte solo per ideogie, a scapito di altri cittadini.
Giorgio
7 Luglio 2024 at 23:16
Grandi personaggi purtroppo in via Di estinzione.