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Le ridicole piste ciclabili di Biella

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Egregio direttore, 215 metri di mini nastro di asfalto rosso bastano per considerarli una pista ciclabile a tutti gli effetti? È possibile che gli amministratori della nostra città rispondano positivamente a tale domanda (perlomeno quelli che ne sono stati i fautori), ma io – che ciclista non sono – faccio molta fatica, in proposito.

Giovedì 23 scorso, la mia curiosità mi ha spinto a percorrere a piedi la “pista ciclabile” annunciata dal relativo cartello blu che ha inizio in via Rosselli tra i numeri civici 90 e 92 (ubicazione del discount EuroSpin). A parte il fatto che, se mi trovassi a percorrere via Rosselli in bicicletta e decidessi di imboccare tale pista riservata ai velocipedi, dovrei salire sul marciapiede (dove, secondo il CdS, sarei subito passibile di una sanzione di 20 euro, qualora un inflessibile e rigoroso vigile si trovasse nei paraggi), godrei della bellezza e della sicurezza del percorso per così poco tempo che sarei assalito da un senso di frustrazione misto ad altre sensazioni, perlopiù negative, a cui il cittadino italiano medio è avvezzo, benché mai completamente assuefatto. 215 metri si percorrono in circa due minuti a piedi, di buon passo; in bici in meno di un minuto.

Perciò, terminare la pedalatina in una stradina sterrata che, un tempo, serviva ad accedere ai campi (in senso agricolo), mentre oggi ad altri generi di campi (quello da rugby e quello nomadi) fa nascere l’insopprimibile desiderio di comprendere il percorso logico-tecnico-burocratico che ha condotto alla realizzazione, pochi anni fa, di un’opera pubblica di siffatta palese e incontrovertibile inutilità. Amici e colleghi ciclisti, unanimemente, mi hanno più volte espresso il loro qualificato punto di vista sulla proliferazione, negli ultimi anni, delle piste ciclabili in città, le quali sono tutte accomunate da una caratteristica di fondo, peraltro abbastanza individuabile anche da meno esperti dello spostamento a pedali: la loro scarsa fruibilità derivante da una realizzazione palesemente estemporanea e non certo frutto di uno studio organico e davvero orientato alla promozione del loro uso da parte dell’utenza a due ruote.

Pare che soltanto in via Ivrea i ciclisti possano in qualche modo stare sul “nastro rosso” senza dover fare manovre assurde a ogni incrocio, ma ciò non significa che in questa via le cose siano state fatte in modo impeccabile; tutt’altro! Ma non mi dilungo, qui, su questa ulteriore conferma della suddetta estemporaneità.

Torno, piuttosto, sulla ridicola (a questo punto mi sento autorizzato a qualificarla così, pur nell’auspicabile eventualità che un giorno, forse ancora lontano, possa essere completata e raggiunga così uno scopo oggi non percepibile) “pista ciclabile” che ho percorso a piedi, poiché dubito che sia stata realizzata da qualche volontario che ha messo di suo materiale e ore di lavoro, ma sia invece costata qualche soldino pubblico. Perché lo scandaluccio (rispetto ad altri sprechi, ben maggiori, questo sarà certamente molto meno grave; ma non per questo trascurabile) sta, a mio modestissimo avviso, in questo: un’amministrazione cittadina ha speso inutilmente (cosa che mi pare indubitabile) soldi pubblici in una zona in cui, da oltre vent’anni, c’è invece un’urgente e concreta necessità, di cui tuttavia pare che nessun sindaco o amministratore succedutisi in questi quattro lustri si siano accorti. E, cioè, almeno un marciapiede che colleghi, lungo via Piacenza, il cimitero cittadino all’esistente marciapiede del lato sud di tale via, il quale termina esattamente là dove terminava il primo lotto di questa che, negli anni, è diventata un’importante arteria di Biella per il collegamento con la zona occidentale del Biellese.

Un tratto di marciapiede di 547 metri – lo so: faccio, e apposta, il verso a Vincenzo De Luca nell’imitazione di Maurizio Crozza; e questo grazie a Google Maps – che, colpevolmente e ingiustificatamente, non era stato incluso nella realizzazione del nuovo tratto di strada, naturale prosecuzione del primo, dalla rotonda di via Rosselli/viale Macallè. Un’assenza che ha costretto tanta gente come me, in questi lunghi anni, a camminare sul piano stradale, mentre i veicoli ti transitano/sfrecciano a pochi centimetri.

Ci si potrà – giustamente o meno, dipende dalla soggettiva attitudine all’ottimismo – consolare del fatto che la città vanta vari aspetti qualitativi che la rendono migliore di altre cittadine italiane di provincia, ma io preferisco proattivamente rilevare quanto (ed è davvero molto) ci sarebbe ancora da fare in tema di sicurezza delle strade (tanto per i pedoni, quanto per ciclisti, motociclisti e automobilisti) e che ho la forte impressione non voglia essere visto da chi è stato eletto dai cittadini anche per porre rimedio a evidenti carenze nelle infrastrutture. Delle quali, tutti noi abbiamo il sacrosanto diritto di usufruire senza troppi rischi per la nostra incolumità.

Enrico Alberti

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