Attualità
La storia di Corrado rinato dalla malattia
A distanza di due anni ne parla per sensibilizzare le persone, soprattutto i giovani, sull’importanza di donare: “Dare, ascoltatemi ragazzi, è meglio che ricevere”
COSSATO – Corrado Rosso, 63 anni, ha lavorato nel settore tessile e nei servizi di vigilanza. È in pensione del 2016. Una vita regolare la sua, fino a quando la salute viene meno. Scopre di avere la leucemia. Ora, a distanza di due anni, ne parla: «Perché possiamo tutti fare del bene».
«Ho avuto una vita normale fino al giorno del matrimonio – dice scherzando -. Ho iniziato a donare il sangue a 31 anni. È stata un’azione buona, ma avviata in modo strano, perché era mancato un mio caro amico a causa di un tumore. Sono stato forse egoista, ma ogni tre mesi venivo sottoposto a controlli, il che mi dava una certa tranquillità. Intanto però di donazioni ne ho fatte settantotto e mi ero iscritto alla banca dati per donare il midollo, anche se poi non mi hanno mai chiamato.
In seguito, facendo altri esami di controllo, ha scoperto di avere la leucemia, e questo mi ha portato a diventare da donatore a ricevente, prima di sangue e poi anche di midollo. Ad aiutarmi penso sia stato un ragazzo. Tutto è avvenuto in forma anonima».
Da allora sono trascorsi due anni e seppure con diverse difficoltà, ora Corrado si sta ristabilendo, intanto è arrivato ad assumere centoquaranta farmaci alla settimana, che aiutano, ma che per la sua malattia, senza un donatore, non sarebbero bastati.
«Oggi ne parlo per sensibilizzare le persone, soprattutto i giovani, sull’importanza di donare: dare, ascoltatemi ragazzi, è meglio che ricevere e a dirlo sono io che mi sono trovato da ambo le parti. La possibilità di trovare un donatore che sia compatibile al 100% è una su 150.000. I miei figli, ad esempio, lo sarebbero stati soltanto al 50%».
Corrado, dopo il trapianto di midollo, racconta di essere tornato a vivere come se fosse un bimbo appena nato.
«Non potevo espormi al sole, mi sarei ustionato. Non sopportavo le punture delle zanzare e ho anche dovuto rifare tutti i vaccini che si fanno da piccoli. Oltre tutto, voglio dirlo, sono stato fortunato, perché vivo con un’infermiera: mia moglie Rosella. Ho un ricordo di cui parlo volentieri: dopo l’intervento di trapianto, sono stato in isolamento e potevo vedere parenti e amici soltanto attraverso un vetro. Un giorno si sono presentati moglie e figli, Andrea e Roberta, indossando tre magliette bianche, ognuna con una scritta: “Se ti avessi donato io, saresti diventato più rinco, più smemorato, più stordito”. La cosa mi aveva fatto sorridere, ma anche immenso piacere. Non è poi mancato il supporto degli amici».
Corrado, come spiega, deve ancora proteggersi, è fragile.
«Sono immunodepresso, ho poche difese. Il midollo deputato al sistema immunitario era già compromesso. Sono molto riconoscente ai medici che mi hanno seguito, dell’ospedale di Ponderano che hanno accertato la malattia, di Novara, in cui ho fatto le chemio, di Alessandria, sede in cui è stato eseguito il trapianto, e dei medici di base. Sono stati tutti solerti. Chi ha sofferto di più in questa storia, però, è certamente Chico, il nostro cane. Sono io che lo porto a passeggio e nel periodo in cui non c’ero, lui è stato in trasferta a casa di amici – pensiero subito contraddetto dalla moglie, che con un sorriso, dice che ad averla vista davvero brutta è lei -».
«Donare non costa nulla e ti fa sentire bene con te stesso – conclude Corrado Rosso -. Francamente, per quanto mi riguarda, considerato il motivo che mi aveva spinto a donare, mi sono sentito meno in colpa. In un certo senso mi è tornato quanto avevo fatto, anche se è una misera consolazione».
Anna Arietti
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