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Attualità

La signora Ada e le epidemie

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BIELLA – I giornali ad aprile hanno dato ampio risalto alla signora Ada che a Lessona, all’età di 104 anni, è guarita dal coronavirus. Ada, nata nel 1916, ha vissuto suo malgrado un’altra grande epidemia, quella dell’influenza spagnola del 1918. Un evento che, grazie al lavoro minuzioso dello storico Danilo Craveia, colpisce per la sua attualità.

Sappiamo che la spagnola nel biellese fece il suo ingresso nel 1918, innestandosi in un contesto provato dalla Grande Guerra e che seguì un’altra epidemia dal nome altrettanto esotico, la “russa”, che colpì il nostro territorio nel 1890.

Tralasciando il triste computo delle vittime, scopriamo le stesse dinamiche di oggi tra complotti, allarmismi e fatalismi, amplificati dai mezzi di comunicazione di allora. La malattia non venne riconosciuta subito, si diffuse silente e confusa all’inizio con un morbo che colpiva un solo organo, l’intestino, per poi ricredersi per i danni polmonari che procurava. Il giornale “Il biellese” sosteneva il pensiero dell’autorità sanitaria di Biella che, forse con un po’ di supponenza, invocava la calma, ricordando che in fondo era come un banale malanno di stagione, per cercare di contenere il panico che iniziava a serpeggiare tra la popolazione.

Ma il virus implacabile continuava la sua corsa tanto che sullo stesso “Il biellese” i necrologi delle vittime del virus iniziavano a superare quelli della guerra.

Seguirono critiche contro gli amministratori di Palazzo Oropa accusati di leggerezza e indifferenza nell’affrontare il dilagare della malattia. Corsi e ricorsi.

Sulle pagine de “Il corriere biellese” iniziarono a farsi largo le opinioni di un altro medico che evocò riorganizzazioni ospedaliere e lazzaretti. I medici però non erano sufficienti e non esistevano medicine efficaci.

Chiusero scuole e luoghi pubblici, ci furono richiami all’igiene personale e alla pulizia degli ambienti.

Una curiosità: nell’Ospedale militare allestito nel Seminario di Biella prestò per un breve periodo la propria opera il poeta Giuseppe Ungaretti.

L’influenza se ne andò improvvisamente, lasciando le persone più forti, non solo nel corpo, ma anche nello spirito dopo aver provato l’orrore della guerra e della malattia che, con una parafrasi della poesia di Ungaretti, mise in luce quella fragilità che ci fa scoprire fratelli.

Se oggi Ungaretti tornasse per magia in vita, potrebbe trarre le medesime conclusioni?

Vittorio Barazzotto

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