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La maestra Clementina Ceria si racconta: “Tanti ex alunni li incontro ancora”

Un tempo alle elementari la maestra era una, la stessa, per cinque anni. A Cossato, dal 1970 e per trent’anni, in aula c’era Clementina Ceria

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clementina ceria

Un tempo alle scuole elementari, oggi primarie, la signora maestra era una, la stessa, per cinque anni.

A Cossato dal 1970 e per una trentina d’anni, in aula c’era la maestra Clementina Ceria, classe 1948.

«Ho insegnato a Vallemosso, a Vallanzengo, a Cossato Capoluogo e alla Margherita. Ero una maestra semplice – inizia col dire -, e tanti dei miei allievi li incontro ancora. Alla Margherita ero la tuttologa, insegnavo tutte le materie, mentre in Centro seguivo matematica, scienze, geografia e religione. C’era armonia con la collega che si occupava delle altre materie e penso che i ragazzi lo sentissero».

A preoccuparla non era l’insegnamento, ma il dover giudicare: «Alcuni bambini forse non erano fatti per la scuola, ma potevano meritare ugualmente ottimo perché si impegnavano, tant’è che nella vita molti si sono realizzati. C’erano domande che permettevano di arrivare alla sufficienza e altre che alzavano il voto. Si cercava di portare tutti alla fine dell’anno senza traumi. I ragazzi vanno capiti e stimolati. Sono piccoli adulti e vedono lungo. Siamo noi che dobbiamo rendere le classi attente con tecniche che si apprendono. Io facevo lavorare tanto, senza tempi morti, nel silenzio e con la porta aperta. Non stavo mai seduta in cattedra e stando china sui banchi, avevo spesso mal di schiena. Prendevo decisioni con fermezza e le note le ho date solo all’inizio, poi più, perché non miglioravano. Preferivo dare compiti aggiuntivi».

La maestra menziona poi l’ordine e la bella calligrafia: «Sembrano passati di moda, invece penso che vadano impostati fin dalla prima classe, lavorando di mano. Oggi invece vedo solo tante fotocopie».

Una volta forse c’era meno burocrazia: «Io eseguivo l’indispensabile, ma già c’era chi aggiungeva allegati, ma poi chi leggeva tutta quella carta? Una cosa non richiesta, ma che io facevo, era tenere un profilo per ogni studente in cui annotavo i miglioramenti. Se cambiavano i denti era un periodo di crescita che andava capito. Si tende ad accusare i ragazzi, ma è l’adulto che deve cambiare approccio. Dobbiamo avere fiducia, spronarli e cambiare anche noi con loro. Pure io da bambina faticavo, ma mia mamma, pur non capendo gli esercizi, me li faceva rifare».

La maestra Clementina serba bei ricordi di allievi festosi intorno alla cattedra. «Non so cantare, ma compravo dei dischi, ci prendevamo per mano ed era un bel momento di unione. Oggi mi domando se avrò saputo dare abbastanza. La scuola mi ha migliorata; ho appreso dai ragazzi. Non ho avuto le capacità di don Milani, Montessori, Manzi, o Rodari, ma avevo fatto corsi e ascoltato suggerimenti. Se commetti degli sbagli, te ne accorgi dopo».

A chi vuole fare l’insegnante oggi, dice: «Incoraggio a studiare, ma ancora di più a cercare di comprendere gli allievi, che ne hanno bisogno. Oggi sono tanto soli. Manca dialogo e saggezza, qualità che noi abbiamo ricevuto da genitori e nonni, semplici e magari poco istruiti, ma ricchi di valori. Seguire i ragazzi è un investimento sulla loro vita».

Anna Arietti

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