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La barbara uccisione di una mamma cinghiale

Pausa Caffè: il problema dei porcastri non si risolve sparando alle femmine in fase di allattamento

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BIELLA – Hanno ragione di protestare gli animalisti del Meta di Biella dopo la barbara uccisione, nei pressi di Pettinengo, di un cinghiale femmina in fase di allattamento della sua cucciolata. Un abbattimento brutale, senza che sia stata rispettata nessuna delle regole previste per il contenimento della proliferazione dei cinghiali (che in verità sono porcastri, cioè incroci tra maiali e cinghiali) sul nostro territorio.

Si era parlato a lungo in questi anni di sterilizzazione, di dissuasori nei terreni agricoli ove questi animali procurano, senz’ombra di dubbio, danni talvolta rilevanti, di catture con trappole e gabbie. E si era parlato di abbattimenti mirati, certo, perché anche questa è una delle vie percorribili per arginare un’invasione che comunque, va detto, non è avvenuta per cause naturali.

Diversi anni or sono, in alcuni boschi del Biellese (e non solo), furono liberati i primi porcastri. Lo si fece per tentare di creare delle specie di riserve di caccia, un po’ come si è fatto con i fagiani, che nelle riserve paiono delle galline ubriache.

E più nulla hanno della dignità e della scaltrezza dei volatili selvatici, quali dovrebbero essere. Qualcuno, in occasione di un’inchiesta giornalistica, mi rivelò di avere assistito, in diverse notti, all’arrivo di grossi automezzi ed alla liberazione dei porcastri nei boschi. Ma la situazione sfuggì di mano. Contrariamente ai cinghiali, assai più guardinghi e diffidenti, i porcastri risultarono subito meno timorosi nei contatti con gli ambienti umani e per questo assai più devastanti.

Con gli anni il loro numero è esageratamente cresciuto. Di qui la necessità di procedere ad un contenimento dei capi in circolazione. Ma certo, non sparando ed uccidendo le femmine in fase di allattamento. I nativi americani, che dalla caccia al bisonte traevano il necessario per la loro sopravvivenza (non sparacchiando per puro divertimento come avviene ancora troppo spesso oggi), la sera prima della battuta di caccia celebravano un rito di richiesta di perdono per gli animali che avrebbero ucciso. E l’indomani, prima di colpire un bisonte, avevano la sensibilità di verificarne le condizioni, cercando di individuare gli animali più anziani, o quelli malati o isolati dalla mandria.

Ma quelli erano “selvaggi”, come in modo sprezzante i bianchi definivano i nativi. Chi selvaggio non è, abbatte un cinghiale/porcastro femmina, lasciando i suoi cuccioli senza madre. E magari se ne fa vanto, descrivendola come un’impresa.

Giorgio Pezzana

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