Attualità
“Il Villaggio Lamarmora è un ottimo posto in cui vivere”
BIELLA – Il Villaggio Lamarmora non è quello della violenza, così come le persone coinvolte nell’ultima rissa non rappresentano le loro numerose famiglie, in buona parte integratesi nel corso degli anni, ma una piccola minoranza.
E’ questo il sentimento più diffuso il giorno dopo il grave episodio di cronaca tra gli abitanti del quartiere. Oltre alla preoccupazione per la persona ricoverata in ospedale, c’è quella per l’immagine di un quartiere che ha saputo rinnovarsi e cambiare nel tempo e che oggi, nel 2020, è ben diverso da quello degli anni Settanta.
«Quello che è successo – spiega un residente – è senza dubbio un fatto grave, ma non si può ridurre il Villaggio a un singolo episodio di cronaca. Oggi questo è un rione bello, vivo, verde e tranquillo. Certo, c’è qualcuno che evidentemente ha ancora comportamenti violenti, ma sono questioni legate a due singoli gruppi, che non si ripercuotono sulle altre persone della comunità. Qui viviamo sereni e tranquilli».
L’immaginario collettivo, infatti, troppo spesso rimane ancorato al passato. Oggi la realtà è diversa, il quartiere si è trasformato, ha vissuto una nuova emigrazione di persone provenienti da altri Paesi, si è evoluto, è cambiato. Oggi è un rione che ha saputo fare della multiculturalità una ricchezza, a prescindere dalla minoranza di persone.
Una memoria storica come Diego Presa, ex vicesindaco, prova a spiegarci cos’è il Villaggio oggi.
«Quello che bisogna capire – premette – è che certe situazioni di violenza sono fatti limitati a un numero limitato di persone, nemmeno identificabili con interi gruppi familiari. Si tratta di una sorta di residuato del passato, che peraltro non tocca persone al di fuori di questa sorta di “faida”».
Un residuato del passato che, però, sembra esprimersi in maniera diversa: «C’è la questione del passaggio a nuove generazioni – prova a chiarire Presa -, che inevitabilmente porta con sé cambiamenti, anche rispetto a quelli che erano certi comportamenti “codificati” nei decenni scorsi. Mi spiego: una volta erano più frequenti regolamenti di conti, ma si risolvevano nella classica sceneggiata, quasi teatrale, che raramente sfociava in un eccesso di violenza. Erano situazioni che avevano delle loro regole a livello sociale. Oggi invece capitano molto più raramente e vedono coinvolte molte meno persone, però quelle regole sembrano essere state superate. Questo, in primis, turba quelle stesse famiglie, coinvolte non certo volentieri in tutto questo trambusto. Soprattutto i membri più anziani, che non si riconoscono in questo modo di agire di alcuni parenti più giovani e che sono preoccupati dalle ripercussioni che può avere questa sorta di rottura dell’equilibrio e della tranquillità. Più che a dinamiche del Villaggio del passato, quanto successo mi sembra più assimilabile a certe forme di violenza e di bullismo spinto tipiche delle cronache odierne».
Tutto cambia, anche i problemi del quartiere: «Ieri le emergenze erano l’integrazione e la scuola, oggi, come nel resto della città, la popolazione invecchia, i giovani diminuiscono. Molte persone delle case popolari lavorano fuori città se non addirittura all’estero, e qui sono rimasti tanti residenti di età avanzata con tutti i problemi tipici della terza età e magari con pensioni che non bastano. Oggi sono loro l’emergenza».
In questo contesto un ruolo di primissimo piano è stato quello della parrocchia, ancora oggi punto di riferimento e di coesione del quartiere.
«Per parlare del quartiere – spiega Don Ezio – ci vorrebbe don Gibello, che ne è stato un’anima, io sono qui da pochi anni. però ci tengo a sottolineare che non è un quartiere diverso dagli altri o più problematico. Non bisogna fare l’errore di prendere un singolo aspetto e generalizzare. Questa è una comunità molto attiva e partecipe, piena di persone buone e generose, poi come in qualsiasi altro posto ci sono luci e ombre. Tutto questo è secondario in questo momento: c’è una persona all’ospedale in gravi condizioni, la cosa più importante adesso è che si riprenda».
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