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Il prossimo ballo in mascherina

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Già con qualche giorno d’anticipo la città si era risvegliata. Ora, dopo essersi stirata le braccia e un po’ le gambe, con uno sbadiglio soffocato dalla mascherina e il piglio del primo giorno di scuola ha cominciato a muovere i primi passi. Dire che ha messo il naso fuori non si può, perché la mascherina va bene indossata per avere quel minimo di utilità che sta tra il rimedio palliativo e la speranza che almeno a qualcosa possa servire.

Divenute merce rara come gli Swatch degli anni ’90, le mascherine hanno dato la stura a una riscoperta creatività sartoriale casalinga: vecchie tovaglie e lenzuola hanno trovato nuovi significati.

E ce li siamo spalmati in faccia come non avremmo fatto neanche a carnevale, retti da quello che una volta era l’elastico delle mutande. Curioso il fatto che durante uno degli appuntamenti fissi delle sue dirette Facebook, buone solo per dispensare al popolo i dati sulla quotidiana distribuzione di mascherine d’ogni foggia, sia apparso il sindaco mascherato, confuso e felice con problemi d’ordine di grandezza, a dichiarare che ne sono arrivate 900mila, no 90mila, no scusate 9mila. Curioso perché vien ora da sorridere a pensarlo complice della battaglia legaiola contro il niqab, il velo islamico che secondo il teorema verde comportava problemi di sicurezza pubblica, non permettendo il riconoscimento delle donne che indossavano il velo islamico a coprire parzialmente il volto. Da rubricare a “come ci cambia il Covid”. Sindaci mascherati a parte, credo che ricorderemo tutti i tempi in cui ci si avventava sulle penne all’arrabbiata della cena di famiglia con occhi e orecchie distrattamente puntati sui tg della sera. Di come, alzando il sopracciglio, ci parevano ridicoli quei cinesi che indossavano una mascherina, fermi in attesa del verde al semaforo pedonale. Di come abbiamo in cuor nostro deriso la loro apprensione per la sopravvivenza dei polmoni, in presenza di inquinamenti fuori scala. E ora, dopo aver esaurito tutte le varianti di sugo possibili in quarantena, ci ritroviamo in ballo anche noi: un ballo in mascherina.

Ci muoviamo per la città guardandoci dritto negli occhi, perché altro non possiamo fare che riconoscerci dallo sguardo. Cosa che a noi biellesi non dispiace neppure molto, perché ci permette di non salutare impuniti anche chi in realtà conosciamo e facciamo finta di non riconoscere, dando vita a sterili incroci di sguardi. Stiamo insomma vivendo un quotidiano inimmaginato, in cui vale la pena sbirciare un po’ per carpirne le sfumature.

Chissà come saranno espressi certi sentimenti, mi chiedo mentre osservo. Chissà cosa esprime quest’adeguarsi: paura, consapevolezza, obbedienza? Questa maschera l’indossiamo per timore sanitario, consapevoli del pericolo o timorosi di Dio e della legge? La differenza la si può cogliere nella modalità: c’è chi indossa un po’ vanesio e orgoglioso l’ultimo ritrovato della tecnologia; chi l’ultimo modello griffato, in abbinamento perfetto con l’abbigliamento; chi sciatto la lascia pendere da un orecchio; chi la sfoggia al collo per proteggersi dal mal di gola piuttosto che da un virus; chi si copre solo la bocca per respirare meglio anche il contagio; chi la usa anche quando è solo in mezzo al nulla per proteggersi da se stesso.

Poi ci sono quelli in auto: uno davanti e uno dietro; due appaiati; tre o quattro come se nulla fosse. Alcuni con mascherina, altri senza e altri ancora uno con e uno senza, oppure penzolante. Sui mezzi pubblici non mi sono ancora avventurato, perché di quello si tratta, mi sa: di un’avventura.

Chissà come esprimeremo la timidezza e il rossore? I rapinatori di banche, confusi da tutto questo mascheramento, lavoreranno a volto scoperto per non farsi riconoscere? Intanto restano in sospeso e intrappolati i sorrisi. In attesa di capire come sarà il dopo, anche quando il dopo è adesso. In bilico tra lo stupore, il fastidio e l’abitudine a chiederci come sarà il prossimo carnevale. E il prossimo ballo in maschera.

Lele Ghisio

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