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Il giornalismo piemontese piange Mauro Revello Chion
Dal 2010 nella redazione di Biella de La Stampa, avrebbe compiuto 60 anni la prossima settimana
Il giornalismo piemontese piange Mauro Revello Chion. Dal 2010 erano uno dei giornalisti della redazione di Biella de La Stampa, avrebbe compiuto 60 anni la prossima settimana.
Il giornalismo piemontese piange Mauro Revello Chion
Una notizia che mai avremmo voluto dare. Domenica sera un malore improvviso nella sua casa di Ivrea ha stroncato la vita di un collega, un marito, un padre.
La sua storia professionale nasce a Chiaverano, il paese dove era cresciuto e che portava sempre nel cuore. Tra le colline che guardano Ivrea e i vicoli dove la voce della comunità arriva sempre diretta, aveva assorbito la passione per le parole e per i territori. Cominciò a muovere i primi passi da cronista negli anni Novanta tra le pagine de Il Risveglio Popolare e Il Canavese.
Poi arrivò la collaborazione con La Stampa. Da Ivrea seguiva tutto. Le cronache giudiziarie complicate, per le quali servivano attenzione e sensibilità. I pezzi di sociale, quelli che chiedono un occhio diverso, capace di cogliere fragilità e dignità. Le vicende della Olivetti, che ancora agitavano i cittadini. E le storie minori, quelle che tanti snobbano ma che lui trasformava con piccole dosi d’umanità, restituendo voce a chi di solito non ce l’ha.
Nel 2004 lasciò Ivrea per la redazione valdostana de La Stampa: un passaggio importante, che lo mise di fronte a nuove sfide, nuovi equilibri, nuovi racconti. Poi, nel 2010, l’approdo a Biella, città dove negli ultimi anni aveva trovato la sua dimensione più matura.
Un amico, ben voluto da tutti
Chi ha conosciuto Mauro Revello Chion ricorda un uomo capace di battute fulminanti e di profondità improvvise. Aveva un modo tutto suo di stare in redazione: una presenza che sapeva trasformare anche l’ora più tesa in un momento di condivisione e risate. Non alzava mai la voce, ma era capace di farsi capire come pochi.
Fuori dalle redazioni, era tante altre cose. Innamorato della musica. E del Torino, la sua fede granata, un pezzo di identità che custodiva con tenerezza e ostinazione, come fanno i tifosi veri. Parlava del Toro con quella combinazione di ironia e devozione che solo chi ama davvero una squadra sa maneggiare senza cadere nella retorica.
A piangerlo oggi sono la moglie Anna e il figlio Giacomo, ma anche generazioni di giornalisti che gli devono qualcosa. Un consiglio sussurrato a mezza voce, una battuta al momento giusto, un esempio dato senza volerlo dare.
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