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«Ho sempre fatto la rammendatrice e amo il mio lavoro»

Romina Fighera racconta la sua esperienza quarantennale

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ho sempre fatto la rammendatrice

«Ho sempre fatto la rammendatrice e amo il mio lavoro». Essere rammendatrice oggi non è certo scontato, anzi, si fatica e non poco a trovare donne in gamba. Rammendare significa riparare la stoffa, ricostruendo perfettamente l’intreccio formato da ordito e trama.

Per Romina Fighera, classe 1970, è il mestiere della sua vita.

«Ho sempre fatto la rammendatrice e amo il mio lavoro»

«Sono nata il 31 dicembre e sono originaria di Veglio – si racconta -. Completata la terza media, sono andata a lavorare come rammendatrice. Era il 1986 ed era l’azienda che in seguito, nel 2017, ho rilevato. È stato il mio primo lavoro e sarà l’ultimo. Ho imparato dalle rammendatrici più grandi di me, facendo apprendistato per tre anni. Sono poi stata assunta al Lanificio “Luigi Botto” e ci sono rimasta per 10 anni».

Come abbiamo anticipato, non è facile trovare giovani rammendatrici.

È stato fatto anche un corso in collaborazione con Città Studi di Biella e con diversi rammendi, proprio per formare nuove ragazze, ma la difficoltà nel trovarne che vogliano imparare un lavoro manuale, sedute per otto ore, rimane. Le ragazzine non ci tengono più. Arrivano persone con una certa età, ma occorre avere una buona vista e, come per tutti i mestieri, se s’impara da adulti è diverso.

Gli uomini non sono portati, non ce ne sono. Non so perché, forse non hanno pazienza. Se incontri ragazzine con manualità e buona volontà te le tieni strette. Io svolgo questo mestiere da 40 anni e devo dire che non mi è mai mancato il lavoro, a parte qualche periodo di crisi. Le macchine non ci possono sostituire, per fortuna.

Romina, cosa significa avere pazienza?

Vuol dire lavorare con passione. A me dà soddisfazione. Vedi un difetto nel tessuto e lo ripari perfettamente. Amo il mio lavoro. Se per un po’ manca, vado fuori di testa. Se serve vengo a lavorare anche di sabato e di domenica. I figli ormai sono grandi (nella foto è con Federico), sono anche nonna, quindi ho la possibilità di farlo.

Non pensavo di arrivare a questi livelli. Ho aperto nel 2017. Eravamo in due, oggi lavoriamo in otto. E dire che non sapevo neanche come chiamarlo, poi una mattina ho messo gli occhi sul tatuaggio che porto sul braccio e “Infinito” è diventato il nome della ditta.

Cosa vuol dire avviare un’attività propria a 47 anni?

Non è stato facile, però l’ho fatto. Ho trovato il coraggio e ho dovuto imparare a usare il computer. Ci sono le e-mail, i bonifici e i documenti da stampare. Ogni ditta segue un proprio percorso a seconda dei fornitori.

Intanto è appena terminata “Milano Unica”, la fiera di riferimento del settore tessile.

Bisogna sperare che i clienti comprino. Se l’esposizione è positiva per i lanifici, va poi bene per tutti. Gli ultimi due mesi sono stati difficili, speriamo che da settembre ci sia la ripresa. Conto sulla mia esperienza quarantennale e poi, va detto, sono fortunata. Ho dipendenti valide, che tengono al proprio lavoro.

Siamo quasi come una famiglia. Questo forse perché avendo lavorato tanto da dipendente io stessa, so cosa vuol dire. Per me è difficile sgridare. La stoffa al giorno d’oggi è sempre più fine, con armature complesse. Ma riusciamo anche a badare al nipotino quando viene in rammendo.
LEGGI ANCHE: Milano Unica, positivi i numeri della 39sima edizione della fiera internazionale del tessile

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1 Commento

1 Commento

  1. Pier Giovanni Malanotte

    22 Luglio 2024 at 10:06

    Ce ne fossero !!!! buon lavoro biellese

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