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Gira che ti rigira, il solito Giro…

GLI SBIELLATI – Una rubrica per tentare di guardarci allo specchio e non piacerci

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Un’altra volta è arrivata. Avevamo detto che ne avremmo parlato un’altra volta, del Giro d’Italia che ri-lancia il turismo in città e un’altra volta è questa qua. Non è che l’idea mi entusiasmi, ma s’ha da fare anche per guardare il rovescio della medaglia della maglia rosa. Altrimenti resta agli atti solo la narrazione di superficie, le facce gaudenti dei venditori d’amministrazione. Ordinaria, peraltro. Ordinaria perché ogni amministrazione cittadina in carica si riempie la bocca della pomposa retorica rituale e di luoghi divenuti a noi assai comuni.

Quante volte ci siamo sentiti dire che la partenza, il passaggio, l’arrivo di una tappa del Giro d’Italia faceva proprio tappa a Biella e che l’Amministrazione, nei panni di sindaci e assessori assortiti, l’avevano “fortemente” voluto?

Un orribile avverbio buono per tutte le stagioni, che resiste al passare del tempo e che nasconde il fatto che l’evento sia magari stato proposto da Rcs (l’azienda che organizza il Giro); proposta attorno alla quale si sia poi intavolata una discussione in gran parte economica di costi da sostenere e, in genere, sostenuti dal territorio stesso. Di solito Regione e Comune, più qualche altra briciola di finanziamento locale, nell’ordine delle decine di migliaia di euro. Quindi, più che un evento sportivo è un evento economico. Intendiamoci, senza che ciò tolga nulla alla valenza agonistica della manifestazione.

In sintesi: “portare” (verbo orribile quando usato in questi contesti) il Giro d’Italia a Biella non è un grosso sforzo, basta pagare. Un arrivo, a listino, vale il doppio di una partenza per esempio. A vederla così sembra un pacchetto bell’e pronto studiato per dare visibilità alle amministrazioni locali, che ne sono da sempre affamate. Probabilmente è così, con le amministrazioni genuflesse alle richieste degli organizzatori: si rifanno strade, si occupa personale di servizio, si gestisce la viabilità, si anima il pubblico locale con bandierine e vetrine in rosa. E si fa un bonifico. In cambio Rcs garantisce una più o meno buona, a seconda del tariffario citato prima, visibilità televisiva e nella comunicazione legata alla corsa.

Capisco che a parlarne in questo modo ci sia il rischio di sminuire il fascino epico di uno sport che ha dato gioie e dolori all’Italia, ma una dose di cinico realismo ogni tanto male non fa. Ci sarebbe da chiedersi dove si sono rintanati i benaltristi di lotta e di governo, quelli per i quali soldi ed energie sarebbe sempre meglio spenderli diversamente. In questi momenti di pandemia, poi. Strano silenzio, come se il Giro passasse di qui per caso.

Sindaco e assessori alla bicicletta ci stanno riempiendo d’infantili e ipocrite suggestioni: “Biella è terra di ciclismo”; “Occasione di grandissima visibilità con impatto internazionale”; dispensano hashtag opportunisti come “la bici è di casa”. Senza pudore e senza vergogna, non smetteremo mai di ricordarlo, dopo aver lottato strenuamente contro le piste ciclabili in città. Ci si mette pure il sito di Atl Biella: “In sella? Naturalmente Biella!” (questo forse è però un lapsus generato dalla confusione tra iniziali maiuscole e minuscole).

Non è il Giro d’Italia, certamente, a essere il problema. Il problema è questa ottusa fede nei cosiddetti “grandi eventi”, che portano sì visibilità al territorio, anche importanti, a volte. Non si riesce, o non si vuole, prendere coscienza del fatto che ciò non serve a nulla, tranne a soddisfare per qualche giorno albergatori e ristoratori. Di certo non a ri-lanciare (siamo sempre costretti a scriverlo così) il turismo locale, a cui servirebbero ben altre strategie e investimenti per strutturare un comparto turistico degno di questo nome.

Ho qui accanto, poggiato sulla scrivania, il pass che il Giro mi rilasciò in occasione dell’arrivo a Oropa, quello dell’epica di Indurain, nel 1993. Cosa è cambiato per il territorio, da allora? Sono seguiti altri numerosi arrivi e partenze e passaggi, con sindaci e amministrazioni diverse, sempre pronte a gonfiare il petto per aver “portato” il Giro in città con chissà quali prospettive. Invece hanno, ancora una volta, speso soldi pubblici senza nessuna strategia di sviluppo turistico per il territorio stesso. Le case non si costruiscono a partire dal tetto e in casi come questo: passata la festa gabbato lo santo, torniamo a essere quelli di prima.

E a noi tocca sorbirci l’enfasi da venditori di pentole di assessori e consiglieri delegati, sponsor del feticismo in memoria di Pantani, che credo si meritasse più un commosso ricordo piuttosto che esibizioni di cappellini e bicilette da immortalare nell’apposita area selfie, così tanto a cuore dei promoter locali da televendita. Promoter di se stessi, anche se gli viene parecchio male.

Lele Ghisio

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