Attualità
“Gigi Riva per noi emigrati era il simbolo del riscatto”
Tanti sardi biellesi piangono “Rombo di Tuono” Gigi Riva
C’è una piccola Sardegna in lutto anche a Biella. Questa volta il “rombo di tuono” magistralmente descritto da Brera non è il preludio dell’inevitabile temporale, dello sfogo liberatorio rappresentato dal pallone che finalmente gonfia la rete, ma l’annuncio della morte dell’immortale Gigi Riva.
Tanti sardi biellesi piangono Gigi Riva, le storie di chi lo ha conosciuto
E’ una notizia che tocca profondamente i cuori di tante persone anche alle nostre latitudini, dove vivono migliaia di sardi di prima, seconda e terza generazione.
Tra loro c’è Gianni Lai, emigrato a Biella nel 1962, che il leggendario campione venuto da Leggiuno ha avuto l’onore e il piacere di conoscerlo. Tanti gli aneddoti conservati nella sua memoria. Partiamo da Inter-Cagliari 1-3. Era l’ottobre del 1970, proprio il giorno in cui Brera coniò il soprannome “rombo di tuono”.
«Ero a San Siro insieme a mia moglie, nei popolari – ricorda Lai -, il Cagliari stava letteralmente dominando. A un certo punto dalla tribuna interista iniziarono a riempirci di insulti e di sputi. Ci urlavano di tutto, anche gli anziani…».
Gianni Lai: “Nel ’70, contro la Juve, portai lo striscione ‘non con l’oro, ma con la spada’. Riva per noi era questo, riscatto morale e sociale”
Pastori e banditi all’epoca erano forse gli epiteti più affettuosi rivolti ai tifosi sardi. Riva per loro, soprattutto per quelli che vivevano “in continente”, fu il campione che li guidò non solo al primo scudetto, ma anche a una sorta di vero e proprio riscatto. Gianni Lai descrive bene quel sentimento: «Ricordo chiaramente un’altra partita, quella del pareggio a Torino con la Juve, che risultò fondamentale per la vittoria del campionato. Rimasi in piedi fino alle 2 di notte a preparare lo striscione per lo stadio: recitava “non con l’oro, ma con la spada”. L’oro, ovviamente, ce l’aveva la Juventus, ma quel Cagliari riuscì ad essere più forte delle ricche società del nord. Riva per noi rappresentava tutto questo, un riscatto morale e sociale».
“Dopo tanti anni, un giorno lo vidi all’aeroporto: mi riconobbe e venne a salutarmi. Non riuscivo a crederci”
Lai conobbe Riva nel 1964, l’anno della promozione in A: «Approfittando del fatto che un terzino dell’epoca era Tiddia, un mio compaesano di Sarroch – racconta – riuscii a intrufolarmi per tre giorni al ritiro di San Marcello Pistoiese insieme a un paio di amici. Negli anni successivi andai spesso a sostenere la squadra durante i ritiri precampionato di agosto. Per la “gioia” di mia moglie, spesso organizzavamo le ferie apposta nella zona in cui erano programmati i raduni… Di Riva mi colpivano sempre la semplicità e l’umanità. Anche tra i tifosi, sembrava puntualmente andare a cercare quelli più umili, i più poveri, come se fosse consapevole che per loro era ancora più importante che per tutti gli altri. Tanti anni dopo lo incrociai di nuovo per caso in aeroporto. Stava parlando con delle persone e io tutto potevo aspettarmi tranne che mi riconoscesse. Invece non solo mi riconobbe, ma fu addirittura lui a venire a salutare me. Una cosa incredibile anche solo a raccontarla».
Luigi: “Quando la squadra veniva in continente era una festa, ma quando ripartiva dopo le trasferte mi veniva da piangere: loro potevano tornare a casa, noi no”
Ovviamente la maggior parte dei tifosi non ha mai avuto il piacere di riuscire addirittura a parlargli, eppure, per tutti loro, è come se se ne fosse andato uno di famiglia, come spiega Luigi, un altro sardo biellese, classe 1955, a Biella da quasi cinque decenni. Anche lui parte da un aneddoto: «Eravamo a cavallo tra gli Anni Settanta e Ottanta, Riva aveva smesso da qualche anno di giocare ed era un dirigente del Cagliari – ricorda -. Di ritorno da una trasferta, a Varese o a Brescia, il pullman della squadra ci superò in autostrada, per poi fermarsi poco dopo per una sosta. Ovviamente si fermò anche il nostro autobus. Lui e i giocatori furono molto disponibili. In tanti lo “accerchiarono” e gli strinsero la mano. Io rimasi a un paio di metri di distanza a osservare, preferivo restare in disparte, forse perché sono sempre stato un po’ schivo, come tanti sardi e come lui, che era più sardo dei sardi».
«Più in generale – continua Luigi – quando Riva e il Cagliari venivano in continente per una partita, per tanti emigrati come me era come se venisse su la nostra isola. Loro, per noi, erano la Sardegna. Forse anche per questo provavo sentimenti contrastanti, da un lato la felicità, perché per un giorno sentivo la mia casa meno lontana, dall’altro gelosia e nostalgia, perché loro in quella casa potevano tornarci. Quando ripartivano, puntualmente dovevo soffocare la voglia di piangere. Riva e quella squadra per tanti di noi hanno rappresentato davvero un riscatto, una riscossa, anche se “in teoria” era solo calcio. E poi Riva era soprattutto una brava persona, un uomo leale. Per i tifosi cagliaritani è un duro colpo e lo sarebbe stato allo stesso modo anche se fosse morto a cent’anni».
Il Cagliari Club, le trasferte, il fotografo Giovanni Murgia… La Biella rossoblù negli anni ’70
Negli anni Settanta la febbre rossoblu contagiò tutta Italia, non solo la Sardegna. Anche nella piccola Biella nacque un Cagliari club. Tra i fondatori c’erano Giovanni Murgia, che ebbe anche l’occasione di seguire diverse trasferte in qualità di fotografo, e lo stesso Gianni Lai: «Era in via Palazzo di Giustizia – rammenta Lai -, lavorammo sei mesi per sistemarlo».
I sardi, quando si parla di Riva, sono tutti d’accordo anche se si tratta di ricordare il momento più brutto, quando, durante le qualificazioni agli Europei, il difensore austriaco Hof gli spezzò una gamba, il 31 ottobre del 1970 al Prater di Vienna, di fatto decretando l’inizio del tramonto della sua carriera.
Lai: “Il ricordo più brutto? Al bar Beni, durante Austria-Italia. Vidi tifosi di Juve, Inter e Milan esultare quando il difensore Hof gli spaccò la gamba. Riva era il centravanti della Nazionale, ma loro festeggiavano”
«Di quel giorno ho un bruttissimo ricordo e non soltanto a livello calcistico, ma vedi tu se scriverlo o no… – conclude Gianni Lai -. Insieme ad alcuni amici stavo guardando la partita al bar Beni, in piazza Vittorio Veneto. Fu subito chiaro che era un infortunio terribile e disastroso. Giocava l’Italia, quindi nel locale c’erano ovviamente anche tanti tifosi di Inter, Milan, Juve… Molti si misero a esultare. Il centravanti della Nazionale si era rotto una gamba e loro festeggiavano perché così avrebbero avuto più possibilità di fermare il Cagliari, che in quel momento era primo in campionato e aveva tutte le carte in regola per vincere il secondo scudetto. Fu una scena che mi fece veramente male. Non mi vergogno a dire che mi misi a piangere per la rabbia. Ecco, dopo tanti anni Riva è riuscito a farci piangere di nuovo».
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