Attualità
Essere o non essere così scarsi
Gli Sbiellati: una rubrica per tentare di guardarci allo specchio, e non piacerci
BIELLA – Ci è toccato di ricominciare l’anno, questa solita e devastante convenzione temporale che ci costringe a recintare bilanci di vita e d’azienda in 12 mesi, buoni solo per i fanatici dell’oroscopo. Ci tocca sempre anche di farlo dopo il mese più dispendioso dell’anno e quel periodo in cui siamo tutti più buoni per un Natale con i tuoi, durante il quale spesso sogniamo la Pasqua che almeno è con chi vuoi.
Per il secondo anno di fila l’abbiamo brindato guardandoci negli occhi da lontano, attenti a non mischiare i bicchieri. Un buon alibi per alcuni, una frustrazione per altri. Ogni anno abbiamo sperato nel successivo, con qualche motivo per maledire il precedente, senza soluzione di continuità. Ci voleva una pandemia per spezzare di netto la tradizione, alimentare la frustrazione e ingigantire la speranza.
C’è però qualcosa che fatica a entrarci in testa: il fatto che una qualsiasi epidemia la si arresta solo interrompendo la catena di contagio. E una catena di contagio s’interrompe esclusivamente con l’isolamento o un vaccino. Tutto il resto è chiacchiera da bar, o da social isterici visti i mala tempora che currunt. Quindi niente: ci siamo passati un altro periodo natalizio e una fine d’anno discretamente di fango tra timori assortiti, cene andate a male, ricoveri e amici in isolamento coatto a sgranare rosari di maledizioni, e a sperare che non gli vada peggio di così. Inutile sperare altro o di più. Nemmeno dopo l’afflato retorico del “ne usciremo migliori”, spentosi in fretta al grido ribelle di “dittatura sanitaria”. Il situazionismo era più divertente.
Ora, l’ho disegnata male come mio solito, ma in cuor mio spero che qualcuno abbia goduto di attimi di relativa serenità. Perché in realtà mi piacerebbe proprio che questa rubrica morisse nell’asfissia della mancanza di argomenti buoni a certificare lo sbiellamento diffuso, ma non è così.
A metà dell’anno che abbiamo lasciato senza indugi la città era entrata in crisi d’amministrazione per una delle peggio cose che potessero capitare: l’inedia progettuale. Quando andiamo a votare, per chiunque ci piaccia di farlo, affidiamo alla presunta capacità di alcune persone – partiti, vari ed eventuali – di scrivere un pezzo di futuro del posto in cui viviamo e di conseguenza anche il nostro, di futuro. Essere l’unico capoluogo piemontese incapace di intercettare i fondi di un bando importante, finanziato anche con i soldoni stanziati per leccarci le ferite pandemiche, è stato il segnale chiaro di un’incapacità di qualche genere.
Da allora abbiamo una Giunta monca, con una parte della coalizione di maggioranza che ne è uscita per far finta di niente sulle proprie responsabilità e per capitalizzare al meglio la necessità del suo appoggio per mantenere in vita un paziente instabile. Il Sindaco ha fatto spallucce per mesi, rinviando ogni qualvolta la (im)possibile soluzione: prima delle vacanze estive, dopo le vacanze estive, prima delle elezioni provinciali, dopo le elezioni provinciali, prima di Natale, dopo Natale. Ora è divenuto uno dei buoni propositi per l’anno a venire. C’è poco da brindare, e la speranza non può essere sempre la soluzione. Tiriamo a campare, e questo è un atteggiamento ormai in bella vista.
Sulla vicenda dei fondi persi per strada s’è detto molto, anche a sproposito. È difficile fare una stima del finanziamento perduto, e non è nemmeno corretto farlo sulla base di ciò che hanno ottenuto gli altri capoluoghi piemontesi. Abbiamo perso qualsiasi progetto che non siamo stati in grado di presentare: roba comunque che va da qualche milione a tanti milioni. Ora, sulle onde di un altro bando simile a quello dimenticato, c’è chi, vice sindaci e compari consiglieri assortiti senza vergogna, gonfia il petto per dire: “Non siamo poi così scarsi”, oppure sentenzia un “punto e a capo”, per tacciare quelle che secondo lui sono malelingue e non latori di tristi verità amministrative.
Invece siamo proprio così scarsi se, presentando progetti che non lo erano e neppure convinti che lo fossero, c’è andata bene – grazie a un emendamento di un parlamentare locale a favore dei capoluoghi del Nord – e abbiamo recuperato qualche soldo. Quindi niente “punto e a capo”: a malapena un punto e virgola che mostra ancora una volta, scorrendo le destinazioni d’uso di quei soldi, una città che non sa progettare e non sa progettarsi.
C’è da mettersi in testa, e l’avevamo già detto sei mesi fa, che quel che è perso non torna e resterà un gap di finanziamento locale rispetto al resto del Piemonte che, invece, a quello di allora somma il finanziamento di oggi. Quindi: buon anno e che Dio (o chi per lui) ce la mandi buona.
Lele Ghisio
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