Attualità
E il tempo crea eroi
Grande è la confusione sotto il cielo. La situazione, quindi, non è per niente eccellente. È una confusione fatta di parole, generata dalla retorica che accompagna la straordinarietà del momento che stiamo vivendo. È un tempo che crea eroi per forza, in cui spesso si confonde l’eroismo con l’umanità e il senso del dovere. Ma è anche un tempo in cui la speranza la si legge attraverso la nobiltà dei gesti e rende quasi necessaria quest’apologia dell’eroe.
Però attenzione che, dopo questa sacrosanta beatificazione di medici e operatori sanitari, per tornare a quella che amiamo definire “normalità”, c’è solo da attendere il giustizialismo di ritorno. Simile a quello che nel periodo storico che potremmo ormai definire a.c. (avanti coronavirus) denunciava ogni prescrizione medica non condivisa e invadeva d’improperi ogni pronto soccorso d’Italia, ben lontano dall’idea di descrivere come eroi medici e operatori sanitari. C’è quindi da ben sperare non di tornare a essere normali, ma di riuscire a costruire ben altra normalità. Perché, come il sociologo Marco Revelli afferma rispondendo alla domanda su cosa ci riveli il Covid-19, eravamo già malati e non lo sapevamo.
In un momento in cui le parole dovrebbero essere poche ma buone, alla comunicazione istituzionale – che si fa un po’ fatica a chiamarla così, ma tant’è – si sommano quelle uscite dalle bocche di decine di soggetti diversi, che faticano a comprendere la reale differenza tra la libertà d’espressione e il generale, e generico se non nocivo, rumore di fondo che contribuiscono a creare. Ne fanno parte esperti, espertini, espertoni, politici d’ogni levatura, medici d’ogni genere e gli immancabili laureati all’università della vita.
La comunicazione istituzionale già sappiamo che soffre di schizofrenia dicotomica frutto della spartizione di competenze, se non più spesso di visibilità, tra Governo e Regioni. E andrebbe riordinata alla luce del fatto che non è supportata da alcun piano di comunicazione strategico. Perché le contraddizioni s’inseguono e generano quella grande confusione di cui dicevo innanzi, proprio ora che sarebbe bene definire con relativa calma ciò che è opportuno dire, e quando e come farlo. Con la definitiva riscoperta del valore della verità.
Da questo punto di vista – nazionale – un organismo si è aggiunto per almeno non peggiorare la situazione: l’”Unità di monitoraggio per il contrasto della diffusione di fake news relative al Covid-19 sul web e sui social network”. Mette un po’ tristezza, a pensare che spesso a generare il cortocircuito che poi induce alla produzione di fake news sia la stessa confusione politico-istituzionale. La mette anche a vedere che solo il web è considerato fonte di fake news, affermando per negazione che la televisione e i giornali non ne producano. Quando è proprio l’ansiogeno melting pot parolaio di media, istituzioni e persone a renderlo possibile, sperdendo per strada l’autorevolezza necessaria alla comunicazione in un frangente così complicato del nostro vivere sociale.
Così c’è sempre qualcuno fiero di spacciare verità al grido di “quello che gli altri non dicono”, con un impegno sospetto tutto teso alla mitopoiesi social di se stesso. È di questi giorni la notizia – locale – di un medico d’ospedale che ha spento i social per causa di forza maggiore dopo un periodo da protagonista che gli ha regalato notevole visibilità. Non se ne abbia a male: verrà il tempo in cui ci saranno storie da raccontare e lutti da elaborare. Anche il lutto della parola, vissuto in un momento in cui pure il silenzio può dire molto.
Ma i social possono anche essere esempio di comunicazione virtuosa, utile alla comunità. Mi riferisco alla sorprendente Radio Bioglio, che il sindaco del paese ha messo in cantiere con pochi mezzi e molta spontaneità. Uno strumento che coinvolge in appuntamenti quotidiani i compaesani nella produzione di piccoli e intensi momenti di condivisione sulla sua e su altre pagine di Facebook. Senza pretese, ma con quell’umanità che sarebbe lecito aspettarsi per tendere a quell’essere normali che vorremmo. Dei sindaci che sui social si esprimono invece in soliloqui solipsistici meglio non dire, che dire male.
Lele Ghisio
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