Attualità
“Dio perdona, il Monfo no”, nemmeno se si tratta del figlio
Italo Monfermoso ricorda il padre Giuseppe, vigile simbolo e “spauracchio” fino agli anni ’80
BIELLA – “Dio perdona, il Monfo no” dicevano i biellesi tra gli anni 60 e gli anni 80. In sella alla mitica Guzzi, indossando caschetto bianco e stivaloni neri, Giuseppe Monfermoso è stato il vigile-simbolo della città di Biella per una generazione di “civich”, ma anche lo spauracchio di migliaia di giovani centauri ai quali aveva “insegnato” le regole della civiltà nella guida e nel rispetto degli altri.
Classe 1932, “il Monfo” era originario di Miagliano. Inizia presto a lavorare come panettiere ad Andorno, ma nel ’56, anno in cui nasce la prima figlia, fa domanda in comune per lavorare come vigile. La sua richiesta viene subito accolta e inizia così la sua carriera, prima come vigile normale e in seguito come motociclista.
«All’epoca – racconta il figlio Italo – molti vigili che prestavano servizio in comune venivano cercati dalle banche per offrire loro un posto di lavoro, lui ha sempre rifiutato perché agli uffici preferiva la strada. Partiva al mattino presto con la sua moto e, per proteggersi dall’aria fredda, d’inverno indossava dei guanti lunghissimi e metteva sotto il maglione delle riviste plastificate. Di voli ne ha fatti molti, ogni tanto arrivava a casa bollato. Ricordo che in quegli anni i vigili motociclisti facevano delle gare a livello nazionale, solitamente in Emilia Romagna. Non so se mio padre in quei tre/quattro giorni di raduno bevesse e mangiasse o corresse, in ogni caso era per lui un appuntamento fisso a cui non poteva mancare».
Un uomo dalla stazza robusta e dall’atteggiamento rigido e severo, dietro al quale si celava uno spirito altruistico e paterno. «Quando succedevano cose brutte ai ragazzi che redarguiva – dice a tal proposito il figlio -, lui ne soffriva molto. Rimproverava a sé stesso il fatto di non essere riuscito, nonostante le sgridate e i tiramenti di orecchie, ad impedire tragedie. Voleva proteggere i giovani, per questo con loro era così autoritario, mentre al di fuori del contesto lavorativo era molto più flessibile».
«Quando è mancato – prosegue -, ho scoperto che su Facebook avevano addirittura creato un gruppo che si chiamava “Gli amici del Monfo”, dove venivano riportate storie buffe e toccanti che avevano come protagonista mio padre. Uno dei suoi punti di forza era la fisionomia: si ricordava di tutto e questa caratteristica lo aiutava a rintracciare facilmente le persone. Oltre a questo, era estremamente corretto: se qualcuno compiva un’infrazione doveva pagare, indipendentemente dal fatto che fosse un semplice ragazzotto o il sindaco. Una volta ha fatto la multa persino a me».
Rimasto in strada con la sua fedele paletta bianca fino al giorno del suo pensionamento, avvenuto alla fine degli anni ‘80, Monfermoso incarnerà per sempre la figura del vigile motociclista per antonomasia, nonché un pezzo di storia del Biellese.
«Dopo il suo pensionamento – conclude Italo -, si è dedicato molto ai suoi nipoti. È stato un bravissimo nonno fino a quando purtroppo ci ha lasciati in modo del tutto inaspettato. Mi è mancata una fetta del suo invecchiare, tuttavia, essendo stato un personaggio, continua a rivivere nella memoria collettiva della nostra comunità. Ogni volta che qualcuno mi chiede se sono suo figlio e mi racconta alcuni suoi episodi per me è come se non se ne fosse mai andato».
Sofia Parola
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