Attualità
Dal grido di speranza a quello di dolore. Nel Biellese le famiglie e le aziende sul lastrico non si contano più
BIELLA – Cari amici, se ci fermiamo un attimo e voltiamo lo sguardo esattamente a un anno fa alla vigilia del primo lockdown cosa vediamo? Un Biellese alle prese con la sua crisi cronica, occupazionale e di isolamento, con tanti negozi e capannoni con ben in evidenza la scritta vendesi o affittasi, un centro città sempre più ostaggio dei bei tempi che furono a discapito dello spostamento verso sud (leggi gli Orsi) dell’asse della città.
Il problema era allora centrale, perché poneva in evidenza uno scenario di crisi economica molto forte per un intero tessuto sociale già provato da decenni di promesse mai mantenute. Poi la pandemia, con la sottovalutazione – anche legittima se volete – degli inizi, poi le cantate dai balconi, i battimani, il tricolore e un generico #andràtuttobene, a tratti contagioso.
Certi che di fronte all’ignoto di “una guerra pandemica” ce l’avremmo fatta a saltarci fuori. Da quella dichiarazione ottimistica, ai giorni nostri una marea di sacrifici per bar, ristoratori, piccole medie imprese, famiglie, per cercare di resistere a quell’onda anomala del Covid che a dispetto dell’isolamento nostrano si era presentata puntuale anche a Biella incurante del fatto che qui i collegamenti stradali veloci sono ancora sulla carta, le ferrovie degne di questo nome sono ancora di là da venire, l’aeroporto è in disarmo. Oggi non solo le città, gialle, arancioni o rosse sono deserte ed impaurite, deserti lo sono anche quei balconi che avevano rappresentato un grido di speranza per le tante famiglie costrette a casa.
Ora quel grido di speranza è un “grido” silenzioso di dolore, perché in una anno nulla è cambiato: le promesse di aiuti e ristori non sono state mantenute e le famiglie e le aziende sul lastrico non si contano più. L’orizzonte di un vaccino “risolutivo” non basta a risollevare gli animi anche qui a Biella, tante le persone che incontro e che di fronte alla crisi delle loro attività hanno quasi vergogna a reclamare i propri diritti, per un senso di dignità e riservatezza tutta biellese che di certo non aiuta. Quello che demoralizza è la gestione politica e amministrativa di questa crisi con autentici provvedimenti senza un perché che non trovano riscontro nel buon senso. E con politici che parlano di aiuti generici a tutti senza sapere leggere tra le righe della burocrazia italica sempre pronta a metterti i bastoni tra le ruote per ottenere il dovuto. Come diceva qualcuno ben noto a Biella, “Provare per credere”…
Chi ha smantellato per interessi di bottega la sanità, è costretto oggi, sulle spalle di molti lavoratori e famiglie, a far chiudere tutto per coprire inefficienze e scelte sconsiderate del passato. E ora chi paga il conto? Cosa serve dilazionare i pagamenti delle tante caselle esattoriali quando domani mattina non si troverà più nessun indirizzo valido a cui inviarle? Lo vogliamo capire che questa è un’alluvione, come quella che ci colpì nel ’68 e che in una situazione simile tutti si scava dalla stessa parte per togliere i detriti? O c’è forse qualcuno che anche qui a Biella pensa che il problema si risolva con tavoli di ascolto, riunioni, proroghe e altre misure all’acqua di rose? La questione è sul tavolo, o ne prendiamo atto con azioni e riflessioni comuni, diversamente sui tavoli ci metteremo sopra le sedie. Game over.
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