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Crollano i ponti ma non le passerelle

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Fonzarelli di provincia

BIELLA – Altro giro e altra situazione idrogeologicamente drammatica per la Valle Cervo. In questo primo ventennio di secolo l’abbiamo vista spesso con l’acqua alla gola. Ora: potremmo metterci in coda per puntare il dito sulla mancata manutenzione degli argini o sul cambio climatico; sul consumo di suolo o su com’era bello il tempo in cui i nostri montanari pulivano le rive; ammonire chi non ripianta un albero ogni sigaretta che fuma o chi non usa un’auto elettrica. Oppure no. Ed è l’opzione che preferisco.

Il problema c’è, ed è evidente; i disagi ci saranno, ed è evidente. Per fortuna è assente il dramma: non si è fatto male nessuno.

Ci sarà, anzi c’è stato già, il solito diluvio di parole inutili di chi l’aveva detto. Io ho preferito sedermi sul bordo del fiume nell’attesa di vedere l’assessore che passa. Per carità, non il suo cadavere, ma lui in persona con l’eventuale giacchetta griffata dalla Protezione civile e il solito codazzo in scia, di amici parenti e condiscendenti.

A ridosso del disastro, la mia pesca da riva ha contato presidenti di regione, assessori regionali e assortiti, onorevoli deputat*. E nessuno con gli stivali, ma tutti con lo smartphone caricato a pallettoni. Roba da una botta e via, per dirsi quanto è importante esserci e poi basta. E dirlo al mondo, certamente. Quel mondo costruito virtualmente sulle immagini che ne sono gli inesorabili mattoncini, spesso più retorici delle parole. Mi sa che questa storia dei social ci ha preso la mano. Facce contrite dalla circostanza e frasi spese come fossero sceneggiature di supereroi Marvel: “Bagnato marcio da capo a piedi, a risolvere situazioni di pericolo”, è soltanto l’inarrivabile punta lirica di questo iceberg di parole al vento.

Insomma, sono crollati i ponti ma sono abbondate le passerelle. Intendiamoci: è giusto che le istituzioni, e quindi chi le rappresenta, diano segno di vicinanza alla popolazione colpita da qualsiasi disastro. Ma qualche riflessione sul modello di opportunità andrà ben fatta. È per questo che dico che i social ci hanno preso la mano, invece di prenderci per mano e accompagnarci verso una comunicazione più completa e, perché no, diretta. Ci hanno preso la mano con ‘sta storia del tempo reale, dell’arrivare prima di qualcun altro in un’assurda gara al c’ero anch’io e c’ero prima.

Credo sia lecito supporre che tutti questi turisti della politica del disastro sarebbero stati più utili nelle stanze dei bottoni, lasciando a lavorare sul terreno tecnici e Protezione civile senza distrarli e disturbarli nella loro opera nei momenti a ridosso dell’evento. Un sopralluogo fatto dopo qualche giorno avrebbe mantenuto gli stessi significati di rappresentanza e vicinanza, senza il rischio d’essere d’intralcio a favore di telecamera. Invece no.

Sfogliando i profili sociali di questi solerti politicanti troviamo foto di gruppo, come fossero in gita scolastica. Troviamo selfie con le macerie della Valle alle spalle, come fossero all’Isola del Giglio con la Costa Concordia sullo sfondo. Per dire a noi e al mondo che loro c’erano. Sì, a farsi fotografare per quella tv del dolore che ormai ha ampiamente tracimato ovunque. Social compresi. Per poi passare alla foto successiva con il sorriso pronto per l’inaugurazione o la consegna del premio. Che la vita va avanti, anche quella virtuale.

È da tempo ormai che catastrofi e pandemie sono divenute tristi e subliminali tribune elettorali nelle quali non c’è da dire nulla che non sia un’immagine a favor di follower. Forse, per una volta, ha vinto chi non c’era. Ma che, speriamo, si farà sentire dove deve.

Lele Ghisio

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