Attualità
Con il Babi se ne va un altro pezzo di Biella
Come un’araba fenice, il Babi rinasceva ogni anno dalle ceneri del rogo a cui era stato condannato l’anno precedente. Ritornava sempre dalle pianure vercellesi, pronto a dissacrare le abitudini della classe dirigente di Biella.
E a sbeffeggiare i politici di ogni colore. Quest’anno invece non tornerà, ci lascerà al nostro destino, deciso a non risorgere più, quasi non valga più la pena concederci un sorriso perché abbiamo dimenticato l’importanza di sapere ridere di noi stessi.
Il processo del Babi ha accompagnato le trasformazioni di Biella, portando in scena le sue contraddizioni e affondando impietosamente la lama dell’ironia tra le miserie e le virtù della città.
Il processo si aspettava con ansia per conoscere il proprio verdetto prima ancora di quello dell’impertinente Babi; chi ostentava distacco generalmente era quello che sarebbe rimasto più ferito dai fendenti verbali del copione di scena. La litigiosità caratteristica dei biellesi durante il periodo carnevalesco subiva una tregua e lasciava una zona franca alla voglia di ridere, non tanto degli altri, ma prima di tutto di noi stessi.
La sua assenza porterà una lacrima di malinconia ai più sensibili e ai più tronfi il piacere di crogiolarsi in una vuota seriosità, senza subire l’onta di un richiamo dal processo, ignari che solo imparando a ridere di una battuta a nostre spese si diventa adulti: li lasceremo danzare “al ballo mascherato della celebrità” dove le apparenze saranno messe al riparo da chi potrebbe far scorgere le loro fragilità.
Con l’assenza del Babi muore un’altra parte della storia di Biella, inginocchiata da un processo di abbandono che il mantra della “città creativa” non potrà mai contrastare.
Grazie a Beppe Pellitteri per averci allietato in questi ultimi 36 anni con la sua straordinaria compagnia: ho imparato, a mie spese, a ridere di me, prima che lo facessero gli altri.
E’ un esercizio che vorrei poter continuare a fare e spero che l’assenza del Babi quest’anno non sia davvero come il verdetto a cui era condannato con una pena “severa, inesorabile, esemplare”.
Vittorio Barazzotto
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