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Biella, città immobile

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Stiamo assistendo al repentino risveglio della Biella che fu, la ex-Biella. Le pagine dei giornali si riempiono di titoli con quel prefisso significante: ex-Rivetti, ex-Pettinature, ex-Upim. Immobili, in ogni senso del suo significato, che per almeno una generazione sono tutti stati testimonianza silenziosa di una, spesso leggendaria, città. Che da Biella divenne ex-Biella. Vuoi che il mercato immobiliare ci abbia qualcosa a che fare? Forse forse qualcosina in più, rispetto ai piani di sviluppo postindustriale di altri distretti o città europei. Il mercato ha tutto il tempo del mondo: se ne sta lì buono, per saltare in groppa alla prima occasione che profuma di soldi.
Nel frattempo noi ci siamo tenuti una città dismessa dentro la città che ha continuato a vivere come poteva, orfana di un progetto di sviluppo urbano postindustriale di qualsiasi foggia. E mentre il mercato se ne stava lì buono, la politica ha abdicato a se stessa. Almeno una generazione, quindi, è passata spesso a fianco di queste balene spiaggiate senza mai averle viste respirare. Chissà se facendosi qualche domanda, o accettandole come parte di un decadente paesaggio metropolitano. La nostra è una città in cui ancora s’incrociano confusi passato, presente e futuro. Dei tre, Il più confuso di tutti è sicuramente il futuro.
Gli strilli giornalistici s’inseguono all’ombra del mistero su cosa diventeranno tutti questi ex, orfani di una qualsiasi proposta organica e partecipativa. La versione più verosimile è che si trasformeranno in oasi commerciali, sulla riva di una città che fatica a produrre lavoro. Altra storia da quando gli anni 60’ videro i natali dell’Upim con tutte le sue commesse in fila e le scale mobili, sull’onda del miracolo economico e sulla spinta consumistica di un secondo dopoguerra che confondeva progresso e consumo. Altra storia da quando la bocca d’ingresso del Lanificio Rivetti risputava in città nuvole di operai in bicicletta, come fossero fumo di sigaretta. Altra storia da quando le Pettinature si facevano fare le mèches da architetti di grido, prima di rimanere senza parrucchieri né operai. Una quindicina d’anni fa parte della città raccolse firme e si raccolse a Città Studi per farsi spiegare da amministratori e Gae Aulenti che idea di città avessero in quegli angoli nascosti dietro alla facciata ex-Rivetti. Si parlò di torri e skyline, e poi di fallimento dell’impresa costruttrice. Da allora un’umanità un po’ varia, e anche a qualche titolo un po’ avariata, ne fece suo rifugio e sua necessità: convissero, per qualche tempo, senzatetto e graffitari muniti di skate, che lo occuparono dopo averlo ripulito dalle siringhe di tossica memoria, residuo di anni malati d’eroina. Mentre la città pensava ad altro e la politica a se stessa. Quella di oggi è una Biella in crisi d’identità che sta, pure lei, sbiellando

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