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Restiamo umani

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Jehad e David vivono e abitano a Biella. Il primo è un architetto e fa l’agente immobiliare, il secondo è un professore di inglese e negli ultimi anni è stato Preside di diversi Istituti scolastici cittadini. Jehad Akhdar è nato a Hebron, in Palestina; David Coen Sacerdotti è nato invece a New York City, ma proviene da una famiglia di ebrei italiani. Jehad e David dovrebbero odiarsi perché è quello che, in questi giorni, noi tutti vediamo avvenire in terra di Palestina.

Jehad e David vivono e abitano a Biella. Il primo è un architetto e fa l’agente immobiliare, il secondo è un professore di inglese e negli ultimi anni (e ancora per pochi giorni) è stato Preside di diversi Istituti scolastici cittadini. Jehad Akhdar è nato a Hebron, in Palestina e, a vent’anni, ha deciso di venire in Italia per studiare e laurearsi; David Coen Sacerdotti è nato invece a New York City, ma proviene da una famiglia di ebrei italiani e qui – dopo alcuni anni –  è ritornato. Entrambi hanno avuto dei figli che sono cresciuti, o stanno crescendo, a Biella.

David e Jehad in questi mesi hanno condiviso insieme a molti altri e altre la campagna elettorale per le amministrative a Biella, sostenendo Marco Cavicchioli e candidandosi direttamente alla carica di consigliere comunale nella stessa lista civica, “I Love Biella”. Jehad e David dovrebbero odiarsi perché è quello che, in questi giorni, noi tutti vediamo avvenire in terra di Palestina. Per la verità avrebbero dovuto odiarsi già prima di nascere, perché quello è il destino per gli uomini e le donne che, israeliani o palestinesi, hanno la “sfortuna” di nascere e crescere in quel lembo di terra più piccolo della nostra Lombardia.  
Come ho avuto modo di scrivere nel primo articolo di questa rubrica, io “sono partigiano” e, anche in questo caso, parteggio: per la causa dei più deboli, che – dal mio punto di vista in modo incontrovertibile – è quella palestinese.  Eppure mi domando   – sempre – come sarebbe stato nascere e crescere da ebreo in Israele, esattamente come mi chiedo come sarebbe stato essere cittadino di Gaza.

Quando ho fatto l’osservatore di pace in Palestina, nel 2000 e nel 2002, questo è sempre stato l’assillo più forte, e se – da un lato – credo nella necessità dell’autodeterminazione dei popoli (soprattutto quando sono sottomessi da molti anni, o secoli) – di contro – mi chiedo anche se tutte queste guerre non siano solo il frutto avvelenato del nazionalismo. “Il nazionalismo ripugna alla ragione” – scrive Isabel Allende – “In nulla beneficia i popoli. Serve solo affinché in suo nome si commettano i peggiori abusi”.

Se David e Jehad fossero vissuti in questo paese 80 anni fa, il primo non avrebbe potuto fare il professore e, probabilmente, sarebbe stato deportato in un campo di concentramento; il secondo non avrebbe potuto nemmeno iscriversi all’Università. Eppure, adesso, vivono nella stessa comunità, e provano anche a “servirla”. Per taluni occhi, però, sono ancora “stranieri”, come i “temuti” profughi ai quali è stata prestata accoglienza nelle nostre vallate. Sono ancora l’”ebreo” e l’”arabo”, sono “l’altro”, per il sol fatto di chiamarsi David e Jehad, anche se hanno cultura, istruzione e professioni ben più robuste di chi oggi li additerebbe come “clandestini”. C’è un limite sottile oltre il quale lo stigma del “diverso” si trasforma in odio, razzismo, xenofobia, violenza e morte. E non importa chi la pratica, perché è la “banalità del male”, e – chiunque le dia sfogo – sopra il cielo di Gaza, come su quello di Occhieppo – uccide la speranza: quella di “restare umani” tra esseri umani.

Roberto Pietrobon
www.alasinistra.org

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