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Nonni e motori, gioie e dolori

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Adoro i nostri nonnini. Li adoro quando passeggiano lentamente con le mani dietro la schiena, occupando tre quarti di marciapiede e rimirando a bocca aperta i lavori in corso con quaranta gradi all’ombra. Li adoro quando rimpiangevolmente rimpiangono qualsiasi rimpiangibile cosa dovunque si trovino, ripetendo a disco rotto le medesime cantilene di –naturalmente – rimpianti alternati a lamenti. Li adoro anche quando ti tengono ore sull’uscio della porta a spettegolare sui vicini maleducati, regalandoti una testa di insalata fresca a fine confessionale e simpaticissime vene varicose. Li adoro tutti anche se non sono i miei nonnini. Come detengono la saggezza loro su milioni di questioni, nessuno mai. E come guidano loro, pure. Arrivare a ottant’anni suonati ed essere pienamente autosufficienti tanto da prendere e andare a destra e sinistra con le proprie forze e i propri mezzi è lodevole davvero. Io, con tutta probabilità, non arriverò mai a godere di queste fortune, ma tutto questo vostro invidiabile sprint non vi autorizza a sgasare su spider-pandini o seicentine cabrio color azzurro puffo seguendo la vostra personale interpretazione del codice della strada da noi tutti, o quasi,  accettato.

Che io non sia un’aquila in argomento è risaputo e fortunatamente non si parla di me, ma quantomeno agli “stop” mi fermo. Perché al suddetto segnale ve la proseguite imperterriti, addirittura accelerando e sbeffeggiando noi, automobilisti senza colpa, come se aveste il paraocchi indosso, cervicale acuta perenne, finestrini laterali dell’auto oscurati e minestra sul fuoco? Poi, la questione precedenze, che cavolo. Ragazzi, alle rotonde siete pericolosi, e non guardateci in cagnesco! So bene quanto amiate la routine della pastasciutta alle 11,50 spaccate, ma se nelle rotatorie vince la sinistra non costringeteci a inchiodare a prescindere per salvaguardare la nostra carrozzeria, concedendovi precedenze illegittime: anche noi abbiamo tanta, tanta fretta e la strada è un ghetto crudele ben lontano dal mondo ovattato di banche, sale d’attesa e supermercati. Infine, non approfittate della nostra tacita bontà quando percorrete ai venti orari l’estremo ovest di via Milano in prima barra seconda: in tal caso mettete seriamente alla prova la nostra pazienza e ascesa in paradiso.

Perché, oltretutto, puoi trovarti anche a fare da tassista per tre interminabili mesi a chi, punito con il ritiro della patente, di incidenti non ne ha fatti mai, ma colpevolmente ha bevuto due – e dico due – medie il sabato sera. Per finire con il constatare, poi, che a chi rischia quotidianamente incidenti ad ogni sfrizionata, la patente magicamente viene rinnovata. Non si sa come. “Ai miei tempi si andava in bicicletta” (Cit.).

Silvia Serralunga

La rubrica di Silvia Serralunga viene pubblicata tutti i sabati sulla Nuova Provincia di Biella

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