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Expo 2015: la fiera di chi affama il pianeta

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Il 1° maggio ero per le strade di Milano con i movimenti sociali alla “MayDay” che contestava Expo. Ovviamente non ho condiviso (e chiaramente neppure praticato) l’opera di devastazione avvenuta nel centro della città da parte di qualche decina di imbecilli. Allora credevo che la kermesse internazionale rappresentasse non un luogo per parlare di fame, denutrizione, carenze alimentari, riconversione ecologica, biodiversità ma, al contrario, rappresentasse il simbolo di coloro che stanno affamando il pianeta.

Il 1° maggio ero per le strade di Milano con i movimenti sociali alla “MayDay” che contestava Expo. Ovviamente non ho condiviso (e chiaramente neppure praticato) l’opera di devastazione avvenuta nel centro della città da parte di qualche decina di imbecilli. Allora credevo che la kermesse internazionale rappresentasse non un luogo per parlare di fame, denutrizione, carenze alimentari, riconversione ecologica, biodiversità ma, al contrario, rappresentasse il simbolo di coloro che stanno affamando il pianeta.

Nella scuola dove lavoro, a giugno, abbiamo deciso che la nostra gita (pardon, visita d’istruzione) per il futuro anno scolastico l’avremmo svolta a Milano, proprio ad Expo. Io ho provato a spiegare le ragioni per le quali la ritenevo una scelta sbagliata ma, come avviene in questi casi, mi sono adeguato alle decisioni della maggioranza delle colleghe e dei colleghi del mio plesso che hanno deciso altrimenti.

Lunedì ci siamo recati ad Expo e debbo dire, in tutta sincerità, di avere trovato solo conferme rispetto alla mia iniziale contrarietà.

Sarebbe utile fare l’elenco di tutte le multinazionali italiane e straniere che hanno avuto il totale monopolio della ristorazione e anche dell’intrattenimento ma questo alimenterebbe ulteriormente l’unico scopo che esse hanno: promuovere il loro brand e fare profitti stellari.

A un certo punto, lunedì, stanchi di vedere specchietti per le allodole che, parlando di cioccolato o caffè, hanno solo la necessità di spingere il proprio marchio ci siamo rifugiati nello stand di una famosa onlus, “Save the Children”, che si occupa proprio di tutti quei temi per i quali Expo sarebbe nato. Volontari (anzi stagisti, anche lì, a gratis) ci hanno guidato in un percorso interattivo per far comprendere cosa significa fame e malnutrizione per qualche centinaio di milioni di bambini ogni anno nel mondo. Una piccola oasi in un deserto dove a comandare (oltre le interminabili code) sono i soldi, tantissimi soldi. Dalle tasche dei soliti consumatori a quelle delle solite multinazionali.

Qualcuno a Biella, l’anno scorso, parlava di Expo come dell’evento dalle sicure ricadute territoriali. Le istituzioni che si occupano del turismo nel biellese oggi, che Expo volge al termine, non nominano più l’evento internazionale e si guardano bene dal comunicare quanto turismo, nel biellese, abbia prodotto la kermesse milanese.

I bilanci, anche su Milano, li faremo nelle prossime settimane per capire se questa manifestazione (dove le mafie hanno guadagnato milioni di euro in appalti per la sua realizzazione) ha avuto dei reali benefici per l’economia diffusa del capoluogo lombardo. Come capiremo, in un prossimo futuro, se i giovani volontari (a zero euro) riusciranno a trovare qualche impiego (finalmente retribuito) inserendo nei curriculum la loro esperienza “volontaria” ad Expo.

Ho solo un ricordo positivo della mia visita: aver fatto conoscere la Palestina ai miei e alle mie alunne. Anche lì c’era la fila fuori dal piccolissimo stand. Quando siamo entrati, vedendo che eravamo una scolaresca, ci hanno donato dei libricini con la storia di questo stato negato. Avranno pensato che potesse essere un modo per “nutrire” le nostre coscienze.

Roberto Pietrobon

www.alasinistra.org

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