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In centro città mettiamo la vita, non la morte

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Leggo di sguincio i commenti di chi vorrebbe mettermi al rogo come “comunista amante dei negri” o come una sorta di nuovo Mengele della terzà età.  C’è anche qualcuno che ha scritto: “Se ti piacciono tanto i negri e l’Africa, PARTI!”.  Più di così? E devo andare dove, di grazia? 
Sugli anziani, due sole battute. La prima dedicata a chi (sono in tanti) ha ignorato il secondo paragrafo del mio breve scritto: “Chiudiamoli dentro un casermone d’altri tempi, contrario a tutte le nuove teorie e tecniche di “gestione e accompagnamento” della terza età”. In altri termini, la crudeltà vera è creare quella che probabilmente sarebbe la più grande casa di risposo d’Europa, una sorta di “Auschwitz” per vecchietti. 
La seconda, diretta invece ai cuori puri che si sconvolgono per affermazioni troppo crude: il declino fisico e mentale che ci attende tutti (fatti salvi i fortunati che moriranno d’un colpo secco e via) è semplice fisiologia dell’encefalo. Disorientamento prima, perdita della memoria poi. Riduzione e progressivo annullamento delle funzioni autonome. In pratica: ti devono imboccare e ti fai la cacca addosso, dentro un pannolone. Non riconosci nemmeno più tuo figlio e aspetti, senza altro scampo, la morte.  So di che cosa parlo, potete credermi. Queste, sono le case di riposo. A meno che voi abbiate mai sentito di qualcuno che ci è entrato e poi, qualche anno dopo, ci è uscito, si è sposato, ha fatto un paio di figli, è diventato ricco con una start-up ed è parito per un giro del mondo in barca a vela. In casa di riposo ci si va per morire. Il resto son balle retoriche. 
Un commentino, invece, mi ha proprio risollevato il morale. Tale Claudia Rastello, che non ho il piacere di conoscere e che chiude il suo brevissimo intervento su FB con una parola magica: “Asilo”.  Eccola, la mentalità giusta. 
Lo so, lo so. Sarà economicamente insostenibile, c’è la Regione di mezzo e bla bla bla.  Ma quanto mi sarebbe piaciuto leggere di una proposta simile: la “città dei bambini”. In pieno centro non ci mettiamo la morte, ma il futuro. Servizi navetta per tutti i quartieri e per i paesi vicini. Un intero, triste casermone grigio, colorato di tutti i colori del mondo, nei muri e nei visi. Là dove c’era dolore e compassione, adesso c’è la gioia squillante dei cuccioli. Giù i vecchi padiglioni secondari: un parco pieno di alberi e di giochi, al loro posto. C’è spazio per tutto, al vecchio Degli Infermi: sale multimediali, biblioteche per piccoli. C’è già la mensa, anche. E credo che come puoi giocare a nascondino lì, in nessun altro posto al mondo potrai mai. 
Ok, è uno scherzo. Un lazzo. Ma il punto centrale non si sposta. E’ un chiodo fisso nella nostra mente di vecchi biellesi. Non si mette la morte, in centro città. Si mette la vita. Non certo per nasconderla, la morte. Anzi. Ma per accompagnarla meglio, dignitosamente, in qualcosa che abbia più il gusto di una casa che di un carcere. Magari in collina, magari dove, chi ancora può, possa uscire nelle poche giornate di sole e fare due passi in paese senza farsi stirare in via Repubblica. Magari dove chi è inchiodato su una sedia, a metà tra la coscienza e il sogno, dalla finestra veda un albero, una montagna, le nuvole che corrono. E non le palazzine di via Caraccio. 
In centro si metta la vita. Colorata, forte, potente. In centro si ficchi di prepotenza il futuro. E se per farlo servono i salti mortali, che allora si facciano doppi, carpiati, persino impossibili. In centro. Ma non necessariamente in centro città. Nel centro dei pensieri. Che è l’unico centro che conta davvero.  
Edoardo Tagliani

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